WINTER 11 - Un leone in gabbia

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Swan entrò nella grande sala con passo deciso, come sempre. Solo che quella volta lo sforzo che stava facendo per mantenere il proprio contegno fiero e distaccato era praticamente titanico. Tutte le sue energie erano impiegate per levarsi dalla testa Raven. Raven e le sue parole, l'espressione del suo viso, il suo sorriso, la sua lingua, il suo corpo...

Basta, Swan! Smettila immediatamente! Non puoi farti ridurre in questo stato da un ragazzo come se avessi ancora quindici anni. E poi non è il momento adatto.

Cercò di concentrarsi mentre prendeva posto ed evitò accuratamente di guardarlo. Se lo conosceva almeno un po', in quel momento Raven stava studiando ogni suo movimento e ogni sua espressione. Faceva davvero bene a schivare il suo sguardo? Qualsiasi scelta le sembrava sbagliata e comunque lui avrebbe interpretato a proprio piacimento sia la sua indifferenza che la sua attenzione.

Inutile... tutto inutile!

Per quanto si sforzasse, non riusciva che pensare a lui, che rivivere in testa quell'attimo. E se davvero fosse stato interessato? Lo poteva escludere? Certo, ogni tanto sembrava flirtare con lei, ma Raven si divertiva a flirtare con tutte, difficile distinguere in lui il gioco dal reale interesse. E difficile stabilire se una ragazza gli piaceva davvero. Quella volta, però, sembrava essersi spinto oltre il semplice passatempo.

Tu devi guardare solo me.

L'aveva detto con un tono che ancora le faceva contrarre lo stomaco. Era qualcosa in più di una semplice richiesta. Aveva il tono dell'urgenza, l'ombra del desiderio inappagato, la necessità di imporre un ordine. Si domandò cosa potesse averlo portato a tanto, a esporsi in quella maniera con lei, come non aveva mai fatto prima.

D'un tratto il suo sguardo si posò sul ragazzo dai capelli rossi, che passeggiava nervosamente come un leone in gabbia sul fondo della sala. La mente di Swan cominciò a tessere rapidi collegamenti, fino a condurla a una conclusione incredibile nella sua assurda banalità: Raven si era sentito minacciato. Aveva pensato che il suo ascendente su di lei potesse venire smorzato dalla presenza del nuovo arrivato e non aveva trovato di meglio da fare che riaffermare la propria supremazia sui sentimenti di Swan.

Sì, era incredibile per lei pensarlo, ma c'era forse qualche altra spiegazione? In un attimo la sua mente realizzò quasi con soddisfazione che Raven, per la prima volta da che lo conosceva, aveva mostrato una debolezza, un'incrinatura. Era davvero bastato così poco?

Sì, incredibile. Eppure...

Guardò nuovamente in direzione del ragazzo sconosciuto, scrutandolo da capo a piedi. Il solo pensiero che quel tizio potesse usurpare il nome di Phoenix la faceva impazzire. Che prendesse addirittura il suo posto era qualcosa che non riusciva nemmeno a considerare.

Però...

Per un istante assaporò il sottile piacere di una piccola vendetta, una delle poche che le era concessa in quella sterile e controllata realtà. Con una sola frase avrebbe fatto dispetto a Raven e, assieme a lui, a tutti quegli uomini che la circondavano, che le dicevano cosa doveva fare, cosa doveva dire e cosa doveva pensare.

In fondo non faccio nulla di male. Sto dicendo la verità!

Sentendosi uno sguardo addosso per tutto quel tempo, il ragazzo si girò a cercare il suo ostinato osservatore. I suoi occhi verdi incrociarono quelli di Swan. Lei piegò lievemente il capo e gli sorrise.


⸩ↂ⸨


Quando giunse il momento di esprimere il giudizio, Swan fu la prima ad alzarsi, nello stupore generale. Chissà quale altra sorpresa si aspettavano da lei, dopo tutti quei giorni di inutili consultazioni.

La ragazza si portò di fronte ai due fratelli, mostrò i palmi aperti e chiese di poter stringere loro le mani. Chiuse gli occhi nell'attimo in cui il contatto della pelle si fece più intenso, poi li riaprì e si rivolse agli uomini schierati lungo il tavolo.

"Ne sono certa", esclamò indicando il giovane dai capelli rossi. "È lui il Phoenix".

Un cupo mormorio si diffuse nell'aria, che cessò di colpo nell'attimo in cui Raven si levò in piedi e, con passo tranquillo, raggiunse Swan. Ripeté il suo gesto e strinse la mano di ognuno dei ragazzi, poi si girò verso la grande tavola.

"Swan ha ragione", scandì. "All'inizio le sensazioni erano confuse, ma adesso anche io ne ho la certezza".

Vagò con lo sguardo sui visi contrariati dei presenti e si fermò a puntare Eagle, che lo fissava sbigottito, con una chiara espressione di sorpresa dipinta sul viso. Sembrava sul punto di chiedergli cosa diavolo stesse facendo, ma Raven lo anticipò.

"Eagle?", lo invitò, mentre gli indirizzava un'occhiata eloquente.

Al ragazzo non restò nulla da fare se non alzarsi e avvicinarsi a sua volta. Senza troppa convinzione, ripeté l'intera operazione sotto lo sguardo vigile di Raven e, quando ebbe finito, si lasciò sfuggire un lieve sospiro di rassegnazione.

"Sì", disse, sforzandosi di apparire convinto. "Confermo. È lui il Phoenix".

Quello che seguì le parole di Eagle fu un caos contenuto, meravigliato da una parte, risentito dall'altra. Nessuno sembrava d'accordo, eppure c'era chi non si sarebbe mai opposto al parere dei Custodi.

"Stiamo scherzando?", sbottò infine il ragazzo dai capelli ramati, perdendo finalmente la sua compostezza e il suo sorriso prefabbricato. "Non vorrete davvero obbedire al capriccio di una ragazzina pazza?".

Dall'altro lato, il ragazzo con i capelli rossi agguantò il braccio di Swan e si avvicinò al suo orecchio con fare minaccioso.

"Rimangiati immediatamente quello che hai detto", sibilò, senza nemmeno fingere di essere educato. "E fallo rimangiare anche a questi due idioti. Subito!".

La spalla di Raven si frappose tra loro. Con una spinta, il ragazzo lo separò da Swan e tirò via la mano che ancora la serrava.

"Metti giù le zampe, bello", gli intimò con aria di sfida. "E soprattutto, comportati come si conviene. Sei il Phoenix adesso".

"Che cazzo significa questo?".

Raven piegò appena la punta della bocca, mentre lo guardava quasi con compassione.

"Che sei uno di noi, che ti piaccia o no".

Il ragazzo si scrollò di dosso la mano di Raven e arretrò di un passo. Il suo sguardo attonito passò da lui a Swan.

"Uno di voi?", balbettò.

Swan gli rivolse un sorriso crudele.

"Lo capirai", insinuò con voce sottile, affilata, che solo i due ragazzi poterono udire. "Ma di una cosa puoi già essere sicuro: per me non sarai mai Phoenix. Mai".

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