SUMMER 6 - Nulla di buono

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Eagle si svegliò di soprassalto, come se gli avessero gettato una secchiata d'acqua gelida addosso. Si ritrovò seduto sul letto, ansimante e confuso, con le dita contratte tra le lenzuola scomposte. Si guardò attorno e si sforzò di tornare a respirare normalmente, ma l'ansia che gli aveva fatto arricciare la pelle non sembrava intenzionata a scivolare via.

Si strinse le braccia attorno al petto e chiuse gli occhi, cercando di afferrare una concentrazione che sembrava sfuggirgli. Nella sua mente percepiva disordinati movimenti dell'Aria, tempeste solari e miriadi di uccelli che perdevano la rotta. Quel caos gli provocò un dolore alla testa che si diffuse rapidamente in tutto il corpo. Si alzò dal letto e uscì dalla stanza con un'idea ben precisa: aveva bisogno di Raven.

Andò dritto fino alla sua camera ma, per quanto bussasse e chiamasse, non ottenne alcuna risposta. L'istinto gli suggerì di abbassare la maniglia d'ottone e il ragazzo si accorse che la porta non era stata chiusa a chiave. Entrò ad esplorare il buio e non gli ci volle molto per realizzare la situazione: tutto era in perfetto ordine, come sempre nella stanza di Raven, e di lui non c'era traccia. A Eagle non occorreva certo molta fantasia per immaginare dove fosse, ma non aveva alcuna voglia di verificare le sue supposizioni. Chiuse l'uscio e andò a svegliare Phoenix.

L'irlandese si mise a sedere scomposto sul letto, si passò una mano sulla chioma rossa e sbadigliò vistosamente. Aveva una pessima cera, come se avesse dormito nella cuccetta di una baleniera ottocentesca durante una tempesta.

"Sto da schifo", confermò un attimo dopo.

Eagle lo studiò per un istante. Si chiese se era mai possibile che anche Phoenix avesse avvertito qualcosa, se anche lui stesse provando la medesima nausea che gli attanagliava lo stomaco.

"Che cosa senti?", domandò.

"Uhm... whisky... e champagne".

Eagle sollevò gli occhi al cielo e sospirò.

"Allora non mi puoi aiutare".

Fece per andare, scusandosi per essere piombato così nella sua stanza di notte, ma l'altro lo fermò.

"Aspetta! Vengo con te, ti do una mano".

"Una mano?".

"Be', a fare quello che stai andando a fare".

Eagle lo guardò con sospetto.

"Ci sto provando, Eaglet", insistette l'altro. "Mal che vada, ti farò compagnia".

Il ragazzo considerò l'offerta per qualche istante, poi annuì.

Scesero le scale deserte in silenzio fino al piano interrato che Phoenix non ricordava di aver mai visitato prima ed entrarono in una stanzetta che si apriva alla fine di uno spoglio corridoio. L'irlandese cominciò a guardarsi attorno, sorpreso dall'arredamento ultramoderno che cozzava con il resto della casa e dalla grande scrivania ingombra di schermi, tastiere e computer di ultima generazione.

Eagle si lasciò scivolare sull'accogliente sedia girevole che fronteggiava la postazione, agitò in successione una serie di mouse e i monitor in stand-by si accesero uno dopo l'altro. Il ragazzo digitò rapidamente dei comandi, poi si sistemò sui gomiti a osservare ora l'una ora l'altra sequenza di dati che si stavano sciorinando sui display. Phoenix, alle sue spalle, seguiva l'intera operazione senza fiatare, dal momento che non aveva la più pallida idea di cosa ci fosse di tanto interessante in tutti quei numeri.

"Proprio come pensavo", mormorò il Custode dell'Aria con voce fosca.

"Che succede?".

Eagle si staccò dalla scrivania, affondò con la schiena sulla sedia e rovesciò indietro la testa, a cercare Phoenix.

Opera [Great Work #1]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora