FALL 11 - Uno dalla Morte chiamato, uno all'Amore votato

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Silenzio.

Le torce che avevano acceso al loro arrivo e che erano sopravvissute al crollo delle due pareti crepitavano producendo un suono basso e discontinuo. Phoenix si lasciò cadere a terra. Cominciava pian piano a recuperare il controllo su di sé, sotto lo sguardo ancora sconvolto di Raven. Le fiamme si addormentarono sulla sua pelle e lui riprese a respirare con regolarità.

Aveva timore di cercare l'espressione del suo compagno. Paura di leggervi una verità troppo crudele. Ma Raven continuava a tacere e il suo respiro era agitato quanto quello dell'irlandese, pur non essendosi mosso di un millimetro dalla sua posizione. Era ancora puntellato sul pavimento dove lo aveva scagliato la potenza di Phoenix, pallidissimo e con la fronte imperlata di sudore.

Phoenix pensò di non riuscire a sopportare oltre quel silenzio. Aveva imparato a preferire Raven quando era fastidioso e petulante perché, quando non parlava e restava perso troppo a lungo nei suoi pensieri, di solito diventava davvero il corvo portatore di tempesta.

"Che facciamo adesso?", chiese, cercando di dare una svolta a quella pericolosa immobilità.

L'altro curvò l'angolo della bocca nel suo solito, dannatissimo sorrisino sarcastico.

"Ti proporrei un brindisi, ma ho sempre considerato l'acqua una bevanda troppo triste".

"Brindare a che cosa?", domandò l'altro serissimo, ignorando la sua ironia.

Raven, a quel punto, si sollevò in piedi con un movimento tranquillo, come se non fosse la fine del mondo, quella che avevano di fronte, e loro non fossero in una specie di assurdo bunker piantato a chilometri dalla superficie. Sembrava aver recuperato miracolosamente la sua lucidità.

"Non so cosa abbiano combinato quei due, lassù".

O forse lo so benissimo, considerò tra sé, passando uno sguardo lento sulla stanza prima di tornare a guardare Phoenix.

"Ma di certo ci hanno fornito gli strumenti, proprio come previsto", concluse.

Sollevò il mento e indicò le due pareti che erano crollate. Dietro quella che prima era l'immagine dell'Aquila, sotto lo strato più esterno che si era sbriciolato del tutto, era emersa una roccia più antica, dove erano stati passati la successiva malta e lo stucco decorato. Anche quella parete aveva dei disegni, anzi delle incisioni, evidentemente più primitive per la fattura e la semplicità con cui erano state eseguite.

Un grosso serpente stilizzato si mordeva la coda. Al suo interno era stata tracciata la stessa stella a sei punte presente sul pavimento. Sui vertici e al centro c'erano dei piccoli simboli. Phoenix riconobbe facilmente, a destra e a sinistra, un sole, una luna e i due simboli del maschile e del femminile. Anche gli altri sapeva di averli visti sui libri di scuola. Rappresentavano dei pianeti, ma non riusciva a ricordare quali fossero e lo chiese a Raven.

"In basso c'è Saturno, in alto Giove e al centro Mercurio", rispose il ragazzo.

"Li guardi come se per te avessero un senso", sbottò l'irlandese.

"Altroché se ce l'hanno. Quello sono io e quello sei tu", commentò Raven scuro, amaro, indicando il simbolo in basso e quello al centro della stella. "Il Sole-Marte è Eagle, la Luna-Venere è Swan".

"Adesso non dirmi che è per costruire ingranaggi che ti serviva studiare tutte queste storielle".

Glielo aveva chiesto di nuovo con uno strano sospetto nella voce. Raven sospirò, rassegnato a quel sentimento.

"La Cabala e l'Alchimia? Certo che no. È persino proibito farlo, a Fulham. Ma, considerata la situazione in cui sono cresciuto, ho pensato che mi sarebbero servite per salvarmi la pelle, ed evidentemente non ci sono andato troppo lontano".

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