SPRING 5 - Push and pull like a magnet do

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Eagle mandò giù l'ultimo sorso di coraggio liquido che si era procurato, poi tagliò il gruppo di ballerini in direzione di Diane, che lo accolse con un sorriso radioso e un ancheggiare provocante.

"Di, hai visto Swan?", le urlò vicino all'orecchio.

Lei nascose a stento una smorfia e ricostruì la sua espressione migliore.

"È andata in cucina".

La stanza era vuota. C'era solo una bottiglia di birra quasi piena abbandonata sulla penisola centrale. Eagle studiò il corridoio, poi osservò il percorso disegnato dal lungo tappeto orientale. Da un lato conduceva al salone da cui era appena arrivato, dall'altro proseguiva verso la scala che portava al piano superiore. Imboccò quella direzione, ma si arrestò di colpo, indietreggiando verso la zona d'ombra trascurata dal grande lampadario che illuminava la rampa e il disimpegno.

Raven stava salendo i gradini tenendo Swan per mano. Le loro dita erano allacciate, come saldate insieme. Arrivata a metà, la ragazza inciampò lievemente e si strinse al corrimano. Lui si fermò e si voltò per sostenerla. Le passò il braccio attorno alla vita, incollandola al suo fianco. Le sussurrò qualcosa all'orecchio, poi fece scivolare la guancia su quella di lei e le prese le labbra tra le sue, trattenendole in un bacio. Un bacio che Swan non rifiutò. Anzi, un bacio che Swan assecondò, restituendolo con lo stesso evidente desiderio. E con la stessa disinvoltura, come se non fosse la prima volta.

Eagle chiuse gli occhi, nel tentativo di sigillare dentro tutte le violente emozioni che, dal petto, gli stavano risalendo alla testa.

"You see... the winner takes it all", mormorò, quasi in risposta all'urlo irrazionale del suo cuore, e decise che quello era l'ultimo istante d'amore che le avrebbe concesso.


⸩ↂ⸨


"Quante camere da letto hai detto che ha, questa casa?", ridacchiò Raven al suo orecchio, mentre salivano le scale allacciati l'uno all'altra, gradino dopo gradino.

"Non l'ho detto", rise lei di rimando, mentre scansavano una coppia che si era rifugiata in cima alle scale per pomiciare lontano da occhi indiscreti.

Il pianerottolo era deserto e scarsamente illuminato da una lampada bassa e panciuta che decorava un tavolino di legno. Swan si guardò attorno. Riconobbe tra le tante porte il bagno, la camera da letto dei genitori di Diane e quella della sua amica, ma non aveva idea di cosa ci fosse dietro le altre.

Fece una smorfia leggera con le labbra e sollevò le spalle.

"Be', Diane mi perdonerà", considerò ad alta voce.

Guidò Raven verso la stanza. Lui entrò per ultimo, accese la luce e si chiuse la porta alle spalle. Non si interessò per nulla a ciò che aveva attorno. I suoi occhi grigio-azzurri erano fissi su di lei. Swan si sedette su un lato del letto e rimase lì, a ricambiargli lo sguardo, come in attesa di una sua mossa. Il ragazzo annullò la distanza che li separava e, sollevandola appena, la fece distendere sul letto, dove Swan si lasciò affondare con un sorriso. L'attimo dopo fu inondata dal calore di lui, dal suo corpo elastico che le scivolava addosso senza farle male. Swan gli insinuò le dita tra le ciocche scure, mentre le labbra di Raven affondavano sulle sue, riprendendo il lavoro che avevano interrotto.

Non era un momento lucido, e Swan sentì che non doveva esserlo per forza. Si muovevano l'uno contro l'altra, si esploravano con la bocca, con qualsiasi parte sensibile del corpo senza cercare un ordine, senza percepire nulla che non fossero le violente emozioni che stavano provando. Era tutto intenso, caotico, avvolgente, come i baci di Raven che le stavano togliendo il fiato, come le sue mani che le scorrevano addosso, segnandola irrimediabilmente dopo ogni passaggio. Perché l'unica sensazione che riusciva ad avvertire distintamente era proprio quella, di lui che le imprimeva un marchio indelebile addosso, di lei che glielo stava lasciando fare. Perché esisteva solo Raven e Swan voleva essere sua, sua e di nessun altro.

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