WINTER 7 - Per sempre non esiste

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Swan era immobile. Sale, era una statua di sale, un ammasso di sale. Gli occhi sbarrati fissavano il nulla e non lo vedevano. Le braccia erano serrate sulle ginocchia, ormai rattrappite contro il suo petto. Non sentiva più il suo corpo, non sentiva più il dolore. Sale. Quello che rimane quando ogni goccia è stata strizzata dal cuore, quando ogni lacrima è stata ormai pianta e non resta che abbandonarsi a quello stordimento che consola.

Era rannicchiata sul suo letto da... da quanti giorni, ormai? Aveva perso il conto. Non aveva importanza. Phoenix non c'era più. La sua mente, implacabile e crudele, non faceva che ricostruirne ossessivamente l'immagine viva dentro ogni ricordo. Ogni piccolo frammento della memoria sembrava insinuarsi nella sua carne.

Per tutti quegli anni, Phoenix era stato quanto di più vicino a una famiglia Swan avesse avuto. Era la carezza sul viso la sera quando era ragazzina e aveva paura di dormire da sola, in quella villa enorme e antica dove non si era ancora adattata a vivere. Era il consiglio quando non sapeva cosa fare, il tè delle cinque a parlare di cosa sarebbe stato meglio indossare per vendicarsi delle sue insopportabili compagne di scuola, ma anche di quanto fosse impreparata per l'interrogazione in Storia del giorno dopo. Perché nessuno sapeva spiegarle la Storia con la pazienza e la semplicità di Phoenix. Le era stato persino accanto, con l'abituale pacatezza e l'immancabile ironia, a rispondere a tutte le sue domande per intere notti quando gli ormoni l'avevano fatta diventare donna. Era l'unico di cui si fidasse ciecamente, l'unico a cui avrebbe affidato la propria vita senza un'esitazione.

Con la sua scomparsa veniva a crollare il suo edificio di certezze, quella parvenza di mondo normale che si era creata nella mente, dove Phoenix era suo padre e sua madre, Eagle il fratellone protettivo, Raven il ragazzaccio che le faceva girare la testa, e tutti loro potevano fingere di essere felici. Insieme. Per sempre.

A quel pensiero, per sempre, Swan scoppiò nuovamente in lacrime. Sapeva che il per sempre non esisteva, ma era così dolce crederlo per lei, che si sentiva perennemente costretta a guardare al proprio futuro senza più desideri e senza voglia, chiusa in una gabbia tutta d'oro che amava e odiava allo stesso tempo.

Phoenix se n'era andato. Quietamente, Swan rimase rannicchiata sul letto, ad ascoltare il cuore che le andava in pezzi. Quando Eagle entrò nella stanza nemmeno si mosse. Rimase ostinatamente immobile, dandogli le spalle. Sapeva che era lui, riconosceva il suo passo, fiutava la sua esitazione, conosceva quel leggero singulto che gli saliva dalla gola quando era in pensiero per lei. Non si mosse.

Eagle rimase a guardarla dalla soglia per qualche istante. Non sapeva cosa fare. Avrebbe voluto abbracciarla, portarla lontano da quel dolore, dirle tutte le parole più belle, ma lei era fredda e distante come la luna. Irraggiungibile.

Sospirò.

"Swan", la chiamò in un soffio.

Gli rispose solo un singhiozzo soffocato. Eagle si avvicinò, poggiò un ginocchio sul letto. Il peso del suo corpo che si curvava verso di lei fece scricchiolare la grande struttura di legno antico. Lentamente scivolò al suo fianco, le sfiorò la vita con la mano e lasciò aderire il petto alla schiena di lei. L'abbracciò come aveva fatto tante altre volte in passato, appoggiando il viso sulla sua spalla e stringendola come si fa con un uccellino: abbastanza da far sentire la sua presenza, ma non troppo, per non soffocarla. Per un istante, Swan sembrò rilassarsi, nutrirsi del suo calore.

"Swan", ritentò lui con dolcezza. "Abbiamo bisogno di te, adesso".

Non rispose, si limitò a scuotere il capo. Eagle si lasciò sfuggire una smorfia di sconforto che lei non poteva vedere.

"Swan, ti prego. Devi solo presenziare alla cerimonia, nessuno ti chiederà di fare di più. Il nuovo Phoenix...".

A quel nome, lei saltò su di scatto e lo allontanò bruscamente da sé. Eagle provò quasi un dolore fisico nel momento in cui perse il contatto con il suo corpo. Si puntellò su un gomito e si mise sulla difensiva di fronte agli occhi cupi e dolenti di Swan.

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