Le Note Nell'universo

5

Ora misento come se stessi aspettando qualcosa che so non arriverà mai... Perché adoro illudermi e sperare, ti senti più vivo mentre lo fai 

(Charles Bukowski)

Ero a letto, in camera mia. Ormai le mie giornate le trascorrevo tutto nello stesso identico modo: per la maggior parte del tempo restavo a letto, piangevo, ricordavo ogni singolo momento vissuto con Jake e, quando non riuscivo più a resistere, mangiavo qualcosa per zittire lo stomaco. I miei genitori, i miei amici, Stacy... tutti cercavano di parlarmi, invano però perché io non ci riuscivo. Non avevo le forze per affrontarli. Non avevo le forze per fare niente. I miei genitori entrarono in camera mia senza aspettare una risposta che sapevano non sarebbe arrivata, dopo aver bussato.

-Siamo preoccupati per te Delia- era vero, lo sapevo. Sentii tutta l'angoscia di mia madre attraverso la sua voce. Avrei voluto rassicurarla, ma non potevo. Avevo passato tutta la vita a mettere sempre gli altri al primo posto, ma in quel periodo non volevo nessuno su quella lista all'infuori di Jake.

-Non dovete esserlo- replicai più infastidita di quanto lo fossi in realtà. Sapevo che era come chiedergli di andare a vivere sul Sole, impossibile, ma era stato più forte di me. Volevo solo essere lasciata in pace, sola, come mi sentivo dentro.

-E credi sia così facile? Sei nostra figlia- il tono di mio padre era per lo più frustrato, quasi arrabbiato. Odiavo l'idea di mostrarmi debole avanti a loro, avevo sempre cercato di evitare di piangere in loro presenza. Mi chiudevo in bagno quando loro non c'erano e mi sfogavo, solo per non dargli preoccupazioni. Invece ora non mi vedevano fare altro.

-Guardati, non esci più con i tuoi amici. Non senti più Stacy, non le rispondi e quando prova a passare qui tu non sei in vena di vederla- mi alzai di scatto mettendomi seduta, di colpo infervorata a quelle parole.

-Ho perso il mio ragazzo due settimane fa!- urlai con le lacrime agli occhi. Quella volta però erano lacrime di frustrazione.

-Vi aspettate davvero che vada a ballare e a divertirmi in questo momento?- non era giusto prendermela con loro, ma era proprio lì e non riuscivano a capire oppure non volevano.

-Non sei l'unica in lutto. Credi che i suoi genitori, sua sorella, non soffrano? I vostri amici, eh? Non sei tu l'unica a stare male, ma sei l'unica che si sta lasciando andare- anche mio padre aveva alzato la voce, mentre mamma era accanto a lui con gli occhi velati dal dispiacere. Se solo fossi riuscita ad andare via di lì sarei tornata di corsa al nostro appartamento a Washington per crogiolarmi nel mio dolore senza dover litigare per farlo. Solo che non potevo lasciarlo andare, non potevo andarmene mentre lui sarebbe rimasto lì... Sotto terra... Mi venne la nausea a quell'immagine tant'è che dovetti alzarmi in piedi e iniziare a camminare per smettere di pensarci.

-Cosa faresti se lui non fosse morto in quell'incidente, ma fosse in coma permanente in ospedale? Come ti comporteresti dovendo scegliere se lasciarlo andare e porre fine alle sue sofferenze o continuare a tenerlo ancorato qui perché tu non sei ancora pronta a dirgli addio?- che razza di domanda era quella? Come avrei mai potuto dirgli addio? Guardai prima mio padre poi mia mamma che era ancora in silenzio, ero esterrefatta.

-Lo andrei a trovare ogni giorno per il resto della mia vita. Ecco cosa farei- superai entrambi e mi diressi alla porta. Ma mio padre non aveva ancora finito di tartassarmi.

-Rinunciando così alla tua vita!- tuonò facendomi rabbrividire. Mi voltai verso di lui e lo fulminai con lo sguardo. Stava solo facendo il genitore, ma non aveva alcun diritto di dirmi come affrontare il mio dolore.

-Non la voglio questa vita! Non senza di lui- urlai a mia volta. Intravidi il volto di mia madre sbiancare di colpo. Come se temesse potessi fare qualcosa di pericoloso da un momento all'altro. Feci un passo verso la porta pronta a porre fine a quell'assurda discussione priva di fondamenta quando mi richiamò un'ultima volta.