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Fino al giorno in cui mi minacciarono di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la lettura: si ama, forse, il proprio respiro?
Harper Lee, Il buio oltre la siepe

Mi misi alla scrivania, aprii il pc e cercai di tornare alla mia normalità. Neanche avevo notato il fatto che non usassi più alcun apparecchio tecnologico né tantomeno i social. Quando volevo parlare con Stacy la chiamavo oppure andavo a casa sua quando invece prima, di non sapevo cosa, controllavo i social media per scoprire cosa stesse facendo il mio idolo, Tini, che negli ultimi giorni avevo ascoltato in loop sempre delle stesse tristi e nostalgiche canzoni, leggevo parecchio in pdf dal computer portatile, vedevo serie, ascoltavo musica, scrivevo...

Scrivevo!

Adoravo scrivere.

Dimenticando per un secondo ciò che mi stava capitando aprii l'ultimo documento salvato. Era una storia che non mi ricordavo di aver mai scritto, Le note nell'universo, ciononostante il titolo mi suonava familiare. Iniziai a leggere le mie stesse parole nella speranza di poter riempire qualche vuoto nella mia mente. Un astronauta e una musicista, una relazione d'amore a distanza in grado di sfidare chiunque, anche lo spazio. Sì, sembrava proprio il genere di cui avrei potuto tranquillamente scrivere.

Lessi metà della storia senza prendere un attimo fiato. Mi sentivo meglio. Finalmente avevo scoperto chi fosse Jake e perché, nei miei sogni, mi chiamava Sirio. Era il protagonista della mia storia che, non ricordavo minimamente, ma tutto aveva acquistato un senso. Jake era solo nella mia mente, per questo tutti continuavano la loro vita come se nulla fosse, perché era così. Non avevano perso nessuno e neppure io. Be' solo in un certo senso, visto che apparentemente la storia era finita con lui che, cercando di ritornare dalla protagonista, aveva avuto un'incidente nello spazio e non ce l'aveva fatta. Finalmente avevo dato una spiegazione a Jake e potevo tornare a riprendere fiato.

Ero così assorta dai miei pensieri da non notare più null'altro intorno a me. Mi ero svegliata con l'ispirazione giusta per scrivere e mi ero messa subito al pc, dopo che i miei genitori furono usciti fuori di casa. Scrivevo senza neanche far caso ai tasti e senza guardare davvero lo schermo del portatile perché avanti agli occhi avevo solo la scena che stavo descrivendo. Mi capitava ogni singola volta, era il mio rifugio personale. Secondo Nietzsche le persone credevano in Dio perché avevano bisogno di una spiegazione alle ingiustizie del mondo, era una sorta di scappatoia dalla realtà, io invece credevo nella scrittura e nella musica che, secondo un altro dei più grandi filosofi mai esistiti, Schopenhauer, era in grado di farci cogliere la realtà senza forma o materia, ma la verità in sé. Adoravo la filosofia, fra le alte cose, ed era strano come persone nate ancor prima dei miei genitori o i miei onni ci abbiano visto così bene e abbiano capito il mio pensiero, così come avevano capito quello di centinaia di altre persone. Avrei potuto parlare di Platone o Hegel per ore introducendo anche Aristotele. Tutto grazie al mio professore del liceo... Lo adoravo.

-Che fai?- la voce di Jake mi risuonò nelle orecchie facendomi trasalire e al contempo abbassare lo schermo del computer per evitare che potesse leggere qualcosa. Nessuno aveva mai letto le mie storie e avevo vergogna a mostrarle, anche perché se non fossero piaciute ci sarei rimasta male, anche se lo avrei accettato, ma se le avessero criticate senza motivo sarei diventata una belva.

-Non ti ho sentito entrare e neanche bussare- con una mano nel petto per cercare di rallentare i battiti mi votai verso di lui, bellissimo in tutto il suo metro e ottantacinque, e lo fulminai con lo sguardo. Aveva preso quest'abitudine di passare da me, di continuo, senza mai avvertire e poi si fermava a pranzo o a cena d noi, mentre io poi andavo il finesettimana a casa sua. Di solito non mi dispiaceva, ma al momento ero infastidita. Volevo solo scrivere.

Le Note Nell'universoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora