6. Leia

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Leia, presente

Il corridoio che porta alle celle è buio e un po' sinistro. Un vago odore di candeggina mi fa pizzicare il naso e lo arriccio. Alla fine del corridoio c'è un cancello, chiuso con ogni tipo di serratura, tecnologica e non. Al di là, una guardia è seduta a una scrivania e sta giocherellando con una penna.
Nel vedermi si alza velocemente e viene ad aprire: è un ragazzo di circa venticinque anni, moro, con un portamento fiero. Non l'ho mai visto qui alla base, ma in fondo non vengo praticamente mai qui nelle prigioni.
Una volta disinseriti tutti i dispositivi di sicurezza finalmente apre il cancello e mi permette di entrare. Lo ringrazio e mi risponde con un mugugno sussurrato, quindi lo vedo sgattaiolare di nuovo la suo posto. Mi avvio verso le celle del livello F e per arrivarci ci impiego qualche minuto. Quando svolto per l'ultima volta, mi ritrovo davanti Fury, che non appena mi vede mi incita a muovermi.
A passo svelto mi avvicino, ritrovandomi a pochi passi da Nick. Dietro di lui una porta blindata rosso fuoco svetta nel grigio del corridoio.
-La cella del soldato è dietro questa porta. È lì dentro da giorni ormai, non mangia e non beve, ma soprattutto non ha aperto bocca. Tu dovrai cavargli fuori qualche informazione, in un modo o nell'altro-
Annuisco e il cuore comincia a battere all'impazzata. Non so perché sono così nervosa.
Fury digita qualcosa sul tastierino accanto alla porta, dopo averlo attivato con una chiave. Con un rumore metallico la serratura scatta e la porta si apre. Nick me la tiene aperta giusto il tempo di sgattaiolare dentro, poi la richiude con un tonfo. Mi ritrovo in una stanzetta, con all'interno un letto e un wc con lavandino. L'unico altro elemento all'interno, tolto il vassoio con il pasto ancora intatto appoggiato ordinatamente ai piedi del letto, è una sedia. E su quella sedia, l'uomo che ha tormentato i miei pensieri è seduto con il capo chino verso il petto.
Le braccia sono distese lungo i braccioli, le mani si aggrappano ad essi nervose e le lunghe gambe muscolose sembrano tese, pronte a reagire. Per ogni evenienza, risveglio i miei poteri e piccole scintille azzurre vorticano attorno alle mie mani, nascoste dietro alla schiena.
Non sembra essersi accorto che sono entrata. Mi avvicino cautamente di qualche passo.
La sua testa di muove leggermente e capisco che non sta dormendo. All'improvviso spalanca gli occhi ed ecco che mi scontro di nuovo con quel muro di ghiaccio e cemento che sono i suoi occhi. La sua espressione è confusa, quando si accorge che sono io. I capelli neri, lunghi fino alle spalle coprono parzialmente il suo volto. Le sue dita stringono ancora più violentemente i braccioli, le nocche diventano bianche per lo sforzo.
-Chi sei tu? Come ti chiami?-
Il silenzio da parte sua è tombale. Continua a fissarmi, senza più mostrare la traccia di confusione che si era lasciato scappare prima.
-Per chi lavori?-. Ancora nulla, ma d'altronde non mi aspettavo che rispondesse.
-Bucky?-
Quando pronuncio questa parola, i suoi occhi raggiungono i miei.
-Chi è Bucky?- risponde finalmente, con la voce roca di chi non parla da tempo.
Sono impreparata però. Chi è Bucky? Non saprei dirlo nemmeno io. So chi è perché Peggy me ne ha parlato, ma di lui ho solo pochissimi veri ricordi miei. Ho solo quelli che mi sono tornati alla mente dopo che ho rivisto l'uomo seduto di fronte a me.
-Non ha importanza ora. Tu chi sei?-
-Ha importanza per me. Chi è Bucky?- noto solo ora che il suo accento non è di certo russo.
-Che ci facevi su quel tetto?-
-Chi è Bucky?-
-Chi ti manda?-
-DIMMI. CHI. DIAVOLO. È. BUCKY.- urla, scandendo tutte le parole e schizzando in piedi. Mi allontano e metto le mie mani davanti, dove scintille azzurre sprizzano dalle mie dita.
Alla vista della luce che si sprigiona dalle mie mani si blocca e comincia a girarmi intorno, come farebbe un leone con la sua preda. Lo seguo con lo sguardo.
-Perché vuoi saperlo?-
-Ho i miei motivi-
-Illuminami-
Si ferma e mi fissa.
Decido di accontentarlo.
-Il suo nome era James. Era il mio migliore amico. È morto durante la seconda Guerra mondiale-
Le sue braccia cadono lungo i fianchi. Dopo un attimo le sue gambe si piegano e lui finisce in ginocchio.
La mia magia ancora vortica attorno alle mie mani, ma mi sento protettiva verso di lui, sono preoccupata.
Si china in avanti, ora le sue mani toccano terra e lo sostengono.
-Che ti succede? Che hai?- domando in ansia.
-Continua...- sussurra lui.
Cerco di riportare alla memoria qualcosa e ci riesco. Non so se è la vicinanza con lui ma qualche ricordo affiora.
-Amava il cinema, mi ci portava ogni volta che poteva. Amava la natura, era sempre pronto a fare un pic nic in un prato. È morto in un incidente durante una missione e il suo corpo non è mai stato ritrovato- un singhiozzo interrompe involontariamente il mio discorso e grosse lacrime mi annebbiano la vista prima di bagnarmi le guance.
-Era simpatico, sarcastico e dolce. Mi ha accompagnata a scuola quando non avevo nessuno. Mi ha tenuto la mano al funerale dei miei genitori. Mi ha sorretto quando ho perso i miei nonni. E poi ha deciso di andare in guerra!- e la mia voce si alza un po'.
Il suo sguardo raggiunge il mio e rimango sconvolta quando vedo che anche lui sta piangendo. La mia magia si spegne.
-Come se avesse avuto scelta- sussurra.
-Cosa hai detto?-
Fa cenno di no, poi si afferra la testa con le mani e affonda le dita nei capelli, quasi volesse strapparli.
-Non sono scappato... Io...- e poi urla, come se qualcuno gli stesse infilando con un punteruolo arroventato nella carne.
Il panico che vedo nei suoi occhi mi fa schizzare verso di lui. Lo afferro quando sta per cadere all'indietro e lo faccio distendere con la testa appoggiata sulle mie cosce. Non so cosa sto facendo. La mia mente mi urla di uscire da lì, di correre via da lui, che è pericoloso. Ma il mio cuore mi dice di restare. Non posso abbandonarlo lì, così.
Spalanca gli occhi, sono ricolmi di sofferenza. Sta male. Ma non è un male fisico, è un male dell'anima. Lo vedo e lo capisco. È lo stesso dolore che provo io ogni giorno.
Gli levo i capelli dal viso, con un gesto delicato, quasi materno. Una volta arrivata alla tempia la sua mano scatta e blocca la mia a livello del polso. Il suo tocco è ruvido, ma non mi sta facendo male.
-Chi sei tu?- gli domando.
-Io ti conosco-
-Anche io... Ma ho bisogno di sentirti dire chi sei-
-Sono...- si contorce. Il suo passato è come un antidoto contro un veleno misterioso che gli annebbia la mente.
Il braccio metallico si stende e conficca le dita nel pavimento in cemento.
-Io chi sono? Tu lo sai? Sai chi sono?- gli domando e allora il suo sguardo si rilassa un poco, permettendogli di riacquistare un po' di controllo su se stesso.
-Tu sei... Sei... Leia-
Lui mi conosce. Sa chi sono.
Sono sotto shock.
Il mio nome sussurrato da lui mi spezza dentro, distrugge anche l'ultimo argine che era rimasto tra me e il mio passato, e tutto ciò che ho fatto, che sono stata e che ho provato prima del siero mi ritorna alla mente vivo e pulsante. E questo mi fa scoppiare un mal di testa infernale, tanto che non mi rendo nemmeno conto di aver cominciato ad urlare per il dolore. Le mie mani scattano alla mia testa, stringendola, sperando di fare scomparire il dolore. L'ultima cosa che vedo prima di svenire è il viso di Bucky preoccupato che mi viene strappato da davanti da un soldato. Perché ora non ho più dubbi che sia lui.
Le braccia di Fury mi allontanano dalla cella, poi c'è solo il buio.

WINTER SOLDIERS - Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora