12. Presente

176 7 0
                                    

Leia, presente

Apro gli occhi a fatica. La luce bianca che proviene dai neon è troppo forte: è come se avessi vissuto in una caverna buia per mesi e solo ora riemergessi. Chiudo di nuovo gli occhi, le palpebre sono troppo pesanti per rimanere sollevate. Comincio a sentire i primi rumori e a percepire l'ambiente che ho intorno.
Un vago odore di disinfettanti e medicinali aleggia leggero e, assieme, il ronzio di macchinari e il bip ritmico che segna il battere del mio cuore mi fa capire che sono in un ospedale. Un brivido mi percorre quando una leggera folata di aria raggiunge le mie braccia, scoperte fino a sopra il gomito. Mi sforzo di riaprire gli occhi piano e cerco di mettere a fuoco i pochi dettagli che riesco a vedere: indosso un camice azzurro chiaro e sono distesa in una camera con un solo letto. Le mie braccia sono collegate a una serie di tubicini che mi danno fastidio non appena mi muovo. Mi impongo di alzarmi, per riprendere il controllo pian piano di tutto il mio corpo, mettendomi a sedere facendo leva sulle braccia. E proprio ora lo vedo. Una sagoma, inizialmente sfuocata che a poco a poco si definisce. Il mio istinto fa correre le mani alla mia vita, in cerca di una pistola, ma il mio fianco è disarmato. Faccio un respiro e cerco di controllarmi, il battito del mio cuore accelera, i bip del macchinario accanto al letto aumentano. Guardo la sagoma per qualche istante. È un uomo. È accasciato in modo poco elegante sulle poltroncine che si trovano in fondo alla stanza e sta dormendo, senza emettere un suono. Mi ci vuole qualche secondo per riconoscerlo: Steve. È Steve Rogers. È lui, in carne ed ossa. È strano vederlo in abiti del nuovo secolo, come se ci fosse qualcosa che stona, che non torna, nel vederlo vestito con una felpa e delle sneakers. Come un fulmine a ciel sereno mi colpisce il fatto che lo ricordo. Che ricordo tutto ciò che lo riguarda. E non solo quello che mi ha raccontato Peggy di lui, ma tutto ciò che io e lui abbiamo passato insieme. L'infanzia, le risate, l'amicizia... Bucky. Ricordo James. Ricordo com'è stato quando sia lui sia Steve sono partiti per la guerra. Ricordo le lacrime amare quando mi hanno comunicato che non sarebbero tornati. Le visite alle tombe bianche e vuote. Ricordo il dolore e il vuoto che ho provato. Tutto mi assale di nuovo, il dolore alla testa che provavo quando cercavo di ricordare in passato non era niente in confronto alla sofferenza che sto provando ora. È quasi come se i ricordi fossero coltelli, così che ogni volta che ne ripesco uno, una lama mi si conficca nel corpo. Mi afferro la testa come quando ero nella cella e mi aggrappo ai capelli, sperando che il dolore scompaia. Un urlo mi esce involontario dalla gola. L'uomo in fondo alla stanza si sveglia in preda al panico e mi viene incontro.
Il dolore è insopportabile, ma voglio resistere, voglio ricordare tutto, devo superarlo. E per non mollare, urlo.
Due mani grandi e forti mi stanno afferrando le braccia ed il mio potere esce senza che io possa controllarlo, sbattendo l'intruso al muro. Non ho tempo per preoccuparmi di cosa succede al di fuori di me.

Sento voci che mi parlano ma sono lontane chilometri, non capisco cosa dicono. Il mio potere ha creato una bolla attorno a me, non so bene se per proteggere me o gli altri da quello che sta succedendo. Ora piango. Il dolore è insopportabile, ma non cedo. Il mio respiro è affannato, i miei polmoni reclamano una pausa. Ma non gliela concedo. Lascio che fino all'ultimo ricordo mi aggredisca, lasciandomi devastata. Quando nulla più dev'essere riportato alla memoria, la luce ritorna piano dentro di me, come se facesse attenzione a non disturbarmi. Mi rendo conto di aver smesso di urlare solo quando una mano mi sfiora la spalla. E ritorno alla realtà.
-Leia...-
Steve è lì, di fronte a me, le lacrime sul punto di segnargli le guance rasate di fresco. Il suo sguardo sincero mi aggredisce, lasciandomi svuotata. L'unica cosa che riesco a fare è mettergli le braccia al collo e piangere. Piangere come non facevo da quando ero bambina, scossa dai singhiozzi. Le sue mani grandi si aggrappano a me, le dita entrano nella carne delle mie spalle fino quasi a farmi male, ma non sento niente se non pace. Piangiamo entrambi. Dopo non so quanto tempo, il nostro abbraccio si scioglie.
-Come ti senti, Steve?-
-Vivo- risponde lui, con un sorrisino leggero sulle labbra.
-Lo vedo...ma davvero, come ti senti?-
-Bene. I medici mi hanno detto che non ho nulla che non va. Sono stato in osservazione due settimane prima che mi lasciassero venire a trovarti...-
-Due settimane?! Da quanto tempo sono qui?!- domando allarmata.
-Da poco più di tre settimane. Hai subito un forte shock. La tua mente doveva riprendersi-
-Tu sai... Tu... Bucky...-
-Sì, so tutto. Tony Stark mi ha messo al corrente di quello che mi sono perso, a grandi linee. Somiglia moltissimo a suo padre. Comunque... Bucky è giù, in una cella. Non parla con nessuno, tranne che con me, qualche volta. E le poche volte che lo fa mi chiede di te, sempre-
-Quindi... È davvero lui? È vivo?-
-Sì è lui-
-Ma com'è possibile? Come può...- inizio, ma Steve mi interrompe subito.
-Come possiamo io e te essere qui? Lo stesso vale per lui. Solo che, se il nostro percorso è stato dalla parte...giusta se così possiamo dire-
-Che cosa intendi?-
Steve mi guarda preoccupato, soppesandomi.
-Ne ha passate tante, per usare un eufemismo. Ma credo che avrà modo di raccontartelo lui stesso. Tu ora devi riposare- dice in tono dolce, accarezzandomi una guancia con le nocche.
-No, Steve. Ho riposato anche troppo... Ma grazie, davvero. E allora... cosa ne pensi del futuro? Non un granché, vero?- un risolino ci coinvolge, spazzando via un po' della malinconia che aleggia nella stanza.
-Non è esattamente come lo pensavamo negli anni '30, e non so se è un bene o un male... Il progresso in sé non è il diavolo, se usato per i fini giusti magari può aiutare, ma in alcuni casi non mi pare sia stato fatto un uso illuminato della tecnologia...-
-Già...e Peggy? Sei andato a trovarla?-
Il suo sguardo si incupisce all'istante. Lo vedo il suo rammarico per ciò che sarebbe potuto essere ma non è mai stato. La tristezza per aver perso così tanto.

-Sì, sono andato a trovarla. È fragile e debole. Ma la sua mente è rimasta brillante- dice abbassando lo sguardo e cominciando a fissarsi i piedi. Sembra portare il peso del mondo intero sulle sue spalle. Vorrei dirgli che non deve farlo da solo, che ci sono anche io, che gli starò accanto, ma le parole non escono.
-Di cosa avete parlato?-
-Del ballo che le avevo promesso prima di...sparire- risponde, abbozzando un sorriso triste.
-Me ne aveva parlato, sì... Sei in ritardo, Cap!-
-Decisamente. Non è da gentiluomini fare aspettare una signora settant'anni per un ballo!-
Una risata amara ci scappa dalla gola e ci ritroviamo a sghignazzare come ragazzini.
-Lei è...speciale. Non ha mai dubitato che potessi ricordare tutto di me, te, lei, Bucky... è stata ed è tutt'ora la mia roccia. Per tutto questo tempo non ha fatto altro che amarti. È stata dura per lei, da quando sei sparito. Ancora di più perché non c'era nessuno che potesse capirla più di me, ma io non avevo i miei ricordi-
-È ancora bellissima...-
-Dovresti vedere Sharon, sua nipote. Le assomiglia molto. Un po' di rossetto rosso fuoco e la scambieresti per lei, se non fosse bionda-
Sorride, ma è turbato. Sicuramente il fatto che Peggy si sia comunque fatta una vita dopo di lui è dura da accettare.
-Lui l'ha amata, Steve. E l'ha sempre rispettata, te lo assicuro. Ha avuto una vita felice, posso giurarlo- dico, appoggiando una mano sulla sua spalla. Con questo tocco cerco di fargli capire che, per quanto le cose non siano andate come aveva immaginato, non tutto è andato male, in fondo.
-Certo, ti credo- risponde, un sorriso triste aleggia sulle sue labbra.
-Ora però sto meglio. E voglio uscire da qui- mi cerco di alzare, a fatica.
-Leia, non se ne parla. Sei ancora troppo debole. E poi i medici ancora non hanno detto che puoi andartene-
-Beh, la cosa non mi ha mai fermato- dico, facendo un sorrisino.
Con attenzione mi sfilo tutti i tubicini e gli aghi che ho addosso, e mi giro mettendomi a sedere sul bordo del letto con la faccia rivolta verso Steve, lasciando penzolare le gambe per qualche secondo. La testa gira un po', ma ho passato di peggio. Con un piccolo balzo atterro di fronte a Rogers, che mi guarda divertito con le braccia muscolose incrociate sul petto.
Una volta a terra, comincio a dirigermi verso l'armadio, da dove vedo sbucare degli abiti, ma devo aver sopravvalutato le mie abilità al momento, perché dopo appena un paio di passi perdo l'equilibrio. In men che non si dica delle mani mi afferrano le spalle, impedendomi di cadere rovinosamente sul pavimento bianco della stanza. Steve mi raccoglie, mettendomi un braccio sotto le ginocchia e uno dietro la schiena, alzandomi come se fossi fatta di aria. Mi accoccolo nel suo petto, sentendo il suo respiro regolare sulla fronte. È un momento quasi...intimo. Mi riprendo velocemente e mi divincolo non appena mi lascia di nuovo al mio posto, sul letto, un filo imbarazzata.
-Ora mi credi? Devi riposare-
-Sì, penso di sì-
-Io ora vado da Peggy, le avevo promesso che sarei passato a trovarla-
-Oh... Sì, certo, nessun problema, vai pure!- dico con un punta di delusione. Speravo che saremmo stati insieme un po' di più, ma non fa nulla. -Quando starai meglio, ti accompagnerò da Bucky- dice prima di uscire dalla stanza. Io lo guardo e annuisco, incredibilmente ansiosa di uscire da questa stanza.

WINTER SOLDIERS - Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora