10. Dottor Malinsky

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Il dottore mi accompagna nello studio, facendo restare Peggy nella segreteria.
La stanza è luminosa, merito delle finestre che riempiono la parete. Anche qui i libri dominano la stanza: centinaia di tomi, riviste scientifiche e faldoni contenenti le informazioni dei clienti riempiono gli scaffali sulla parete opposta alle finestre. Al centro della stanza ci sono due poltrone in pelle, mentre in fondo è presente una scrivania in legno scuro, sormontata da appunti e cartelline. Il dottore mi fa accomodare su una delle poltrone, quella che è rivolta verso le finestre e lui si allunga verso la scrivania, emergendo con un blocco per gli appunti e una penna stilografica. Finalmente si accomoda nella poltrona davanti a me, ma sono nervosa.
Continuo a tormentare l'orlo della mia gonna, arricciandolo e stirandolo. L'indice comincia involontariamente a tormentare un invisibile pellicina sul mio pollice.
Il dottore comincia a guardarmi, da dietro i suoi occhiali intravedo delle leggerissime ciglia bionde che contornano un paio di occhi chiari, che mi scavano l'anima. Il dottore avrà al massimo tre o quattro anni più di me, ma il camice e gli occhiali gli danno un'aria più matura. I suoi occhi continuano a studiarmi, ma non riesco a sostenere il suo sguardo e comincio a guardare fuori. Il cielo ora è azzurro e sgombro da nuvole, i tetti delle case vicine sono troppo bassi per essere visti.
Il primo a parlare è il dottor Malinsky, con un accento vagamente straniero, forse russo.
-Allora, signorina Spencer. Posso chiamarla Leia?-
-Certamente- rispondo timida.
-Bene. E chiaramente tu puoi darmi del tu a tua volta. Allora, cosa ti porta nel mio studio? Mi hanno detto che hai subito un trattamento un po'... Singolare, ma vorrei sentire da te cos'è accaduto e quello che hai provato-.
Mi guardo intorno dubbiosa.
-Tutto quello che diremo all'interno di questa stanza rimarrà tra me e te, non lo divulgherò a terzi, nemmeno allo S.H.I.E.L.D., a meno che non sia tua a volerlo- mi incalza, notando la mia titubanza. Sgrano gli occhi.
-Conosci lo S.H.I.E.L.D.?-
-Certamente- risponde abbozzando un sorriso.
Mi rilasso un po'.
-Allora, da dove vuoi partire?-
Comincio a raccontargli tutto ciò che mi è capitato da quando mi sono risvegliata a questa mattina, riportando tutti i mal di testa e la sensazione di vuoto incolmabile quando provo a ricordarmi qualcosa.
Gli parlo dei miei poteri, lui ascolta attentamente, talvolta annuisce e di tanto in tanto si appunta qualcosa nell'agenda che lascia appoggiata sulle cosce. È rilassato, ogni fatto lui lo sembra analizzare in fondo.
-Dunque, questo è tutto- concludo una volta finito il mio racconto. Mi sento svuotata, come se raccontare tutto ciò che ho passato dal trattamento con il siero fosse un modo per esorcizzare la paura di non ricordare cosa ero prima. Mi ha resa più forte.
Lui rimane in silenzio, con la testa appoggiata ad una mano e con gli occhi puntati su di me.
-Questo, mia cara, non è tutto-
-Cosa intendi?-
-Tu mi hai parlato di quello che è successo, vero, ma non mi hai detto cosa hai provato-
Aggrotto la fronte.
-Io...I-io non lo so...-
-Certo che lo sai, solo che per te è meglio non pensarci. Il fatto è che ti sei concentrata su tutto quello che ti accadeva senza soffermarti su quello che hai provato mentre tutto ciò accadeva. Penso che sia, quello che mi piace chiamare, il tuo meccanismo di difesa emotivo-
-In che senso? Non mi sto difendendo- rispondo dubbiosa.
-Certo che sì invece, la tua mente ha subito un fortissimo stress e ha risposto chiudendosi al passato. Ma lei ti sta difendendo ancora adesso: quando tenti di ricordare e ti viene mal di testa cosa provi?-
-Non so...-
-Sì che lo sai, pensaci.-
-Davvero non lo so!-
-Prova a ragionare...-
-Non lo so, ok? Triste, arrabbiata, frustrata, tutto insieme! Non lo so cosa sento quando provo a ricordare, perché tutto ciò è coperto dal dolore!- dico alzando il tono. Lacrime minacciano di uscire dai miei occhi, ma mi impongo di scacciarle via.
-Finalmente, ecco il succo... Lavoreremo su questo. Tutto ciò che hai provato. Il tuo passato non tornerà mai se non glielo permetti tu-
Abbasso lo sguardo.
-Sono io a non voler ricordare?-
-In un certo senso. Da quanto mi hai spiegato, hai deciso di sottoporti al trattamento non solo per la nazione, ma per motivi personali-
-Peggy... Margaret ha detto che è stato per i miei migliori amici, perché sono morti- dico guardandolo negli occhi, mi mordo un labbro per tentare di non soccombere all'ennesimo mal di testa che sta per venirmi.
-Credo che questo stato d'animo ti abbia accompagnata nel trattamento e la tua mente stia cercando di non farti arrivare di nuovo a quello stato emotivo. Ti sta proteggendo, facendoti "del male"- dice mimando le virgolette.
-Quindi potrei non ricordare mai più?-
-Non ho detto questo. Sarà un processo lungo, ma lo affronteremo insieme. Ma devi essere tu a volerlo. Non devi farlo perché i tuoi amici vogliono che ti ricordi di loro. Devi farlo perché tu te la senti, perché vuoi ricordare. E se in qualsiasi momento ti accorgessi che per te è troppo, puoi fermati. Magari la tua mente tra qualche tempo si adatterà da sola e ti permetterà di ricordare in autonomia-
Annuisco. È uno shock pensare che sono io stessa che mi impedisco di avere dei ricordi.
-Direi che possiamo vederci tra qualche giorno, per cominciare le nostre sedute, al prossimo appuntamento decideremo con che scadenza vederci... Cosa ne pensi?-
-D'accordo...-
-Bene. Pensa a ciò che ti ho detto, nel frattempo, ok? Grace, la mia segretaria, ti darà il prossimo appuntamento- mi dice, con un leggero sorriso sulle labbra si alza e io faccio altrettanto. Un svolta in piedi mi stiro la gonna con le mani e lo seguo fuori dal suo studio.
Grace ci accoglie con un sorriso, io cerco con lo sguardo Peggy, che mi sta ancora aspettando seduta sulla poltrona di fronte alla finestra, ma non appena ci vede schizza in piedi e mi viene incontro con uno sguardo che è un misto tra il preoccupato e l'orgoglioso.
Il dottor Malinsky parla velocemente con il Grace che mi sorride nuovamente e scrive il mio nome sull'enorme agenda che ha di fronte a sé sulla scrivania nel giorno indicato dal dottore, lasciandomi un piccolo promemoria su un'elegante foglio di carta filigranata.
-Allora ci vediamo al prossimo appuntamento, Leia-
-Certo, dottore, grazie- rispondo e ci stringiamo la mano. Ho una strana sensazione, come se ci fosse qualcosa anche stona in tutto ciò che riguarda il dottore, ma decido di ignorarla.

Io e Peggy ci allontaniamo dallo studio in fretta, mentre lei mi tartassa di domande.
Cerco di rispondere a tutto senza dirle esattamente cosa ci siamo detti. Il viaggio di ritorno sembra più breve di quello d'andata e in men che non si dica siamo di nuovo nella sede dello S.H.I.E.L.D., e ci dirigiamo verso la mia camera. Una volta di fronte alla porta della mia stanza ci fermiamo e mi volto verso Peggy.
-Grazie per oggi. Per avermi fatto andare da lui ed avermi accompagnata e sostenuta. Non sei obbligata...-
-Leia...- dice appoggiando le mani alle mie spalle. Siamo alte quasi uguali. Mi guarda dritto negli occhi. Mi scava dentro, con quei suoi occhi scuri.
-Io ti sarò sempre vicina. Non sono obbligata a farlo, io voglio farlo, voglio starti vicina. Anche se ora non ricordi chi eravamo prima, non importa. Anche se non lo ricorderai mai più. Io ti vorrò sempre bene, non dimenticarlo mai- dice e non posso fare a meno che abbracciarla. La stringo forte a me e lei fa lo stesso.
Un volta slegate dall'abbraccio e lei va via lasciandomi sola a guardarla caminare lungo il corridoio nel suo completo elegante. Io entro nella mia stanza e chiudo la porta dietro di me, lasciano che le lacrime che trattengono da tempo possano scorrere tranquillamente sulle mie guance, mentre ripenso a quello che il dottore mi ha detto: il tuo passato non tornerà mai se non glielo permetti tu.

WINTER SOLDIERS - Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora