XXXII

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Lo spinsi via allibita. «Ma chi ti credi di essere?» Uno dei tre rimasti, un uomo con i capelli neri e ispidi, tolse la sicura al fucile e lo sollevò di qualche centimetro, in una silente minaccia. «Credi di spaventarmi?»

«Ho parlato con il tuo paparino. Non era molto contento, sai? Mi ha detto di dirti "se non fai la brava, appiglierò il tuo amato mago a testa in giù e lo farò sanguinare dagli occhi". È stato molto specifico sui metodi di tortura. Sicura che non sia una specie di sicario, o...» parlò vago, sollevando le mani. «Dai, tesoro, scherzavo!» esclamò e mi mise una mano sulla spalla, scuotendomi. «Mica vuoi tenermi il muso, vero? Una ragazza così carina non dovrebbe avere quell'espressione.»

Senza dare nell'occhio mi annusò i capelli e ne raccolse qualcosa, forse un granulo di qualche tessuto o di sangue che mi era finito addosso nel bunker. Mi stava ispezionando di nascosto e mi fu chiaro che non fossero lì solo per me, bensì per fare qualcos'altro che né a Alex né a Lucius avevano riferito.

Il suo fiato puzzava davvero di peperoncino e paprika, misto a barrette energetiche al sapore di yogurt e caffè nero. Mi disgustò.

«Dovresti lavarti i denti. Alle ragazze non piace essere toccate da gente lurida» specificai e annuì nervoso, passandosi la lingua tra i denti.

«Reed, ora basta. Tormentare la gente è quello che ti riesce meglio» lo attaccò Bucky.

L'altro tizio trovò ironica l'accusa. «E tu sai solo scappare dai tuoi problemi.»

Io e Alex non sapemmo come difenderlo e non trovammo modo di farlo, ci sentimmo circondati e con delle pesanti corde strette al collo. Era la stessa sensazione che ci attorcigliava lo stomaco con i grandi Graves, che ci obbligava al silenzio e a vivere nell'insicurezza e paura.

«Andate a farvi un giro, bambini, i grandi devono parlare!» cantò giulivo Reed.

Alexander sembrava giovane a prima occhiata, ma era molto più grande di quel tizio. Se un qualsiasi altro mago o Antimago avesse parlato in quel modo a mio fratello, in qualsiasi altra occasione, Catelyn si sarebbe assicurata di vederlo marcire.

Aprimmo le bocche stupefatti di tanta presunzione.

«Be'? Via, o vi sparo ai piedi» terminò più serio.

«Spero che mio padre ti paghi molto bene» ringhiò Alex, afferrandomi il braccio e tirandomi via.

In condizioni normali gli avrei dato una spinta o un pugno, un riflesso quasi incondizionato dato che da piccoli mi spingeva e picchiava spesso. Invece mi lasciai tirare lontano e gli permisi anche di serrare più forte del dovuto le dita sul mio braccio, pensando che fosse meglio sfogasse la sua rabbia su di me anziché sugli esseri umani. Era una delle leggi supreme del Concilio, dopotutto.

Ci allontanammo di alcuni metri, sempre restando nello spazio visivo di Bucky. Alex diede loro le spalle e io cercai di fare altrettanto, fingendo di giocherellare con una radice.

«Cosa pensi stiano cercando?» chiese sospettoso. «Se ha scomodato dei mercenari significa che nostro padre sta cercando qualcosa che non vuole che noi vediamo, o troviamo. Cosa hai notato laggiù?»

Feci mente locale, però non mi venne nulla di insolito. «Era un normale bunker. Non ho notato niente di strano. C'era un laboratorio, più giù, e tenevano legato il mostro con una specie di tubi collegati a dei computer. Era pieno di campioni.»

«E informazioni» capì.

Aggrottai la fronte. «Credi che sia interessato a quelle, perché? Ha votato lui stesso di ucciderla, se voleva usarla per i suoi scopi non avrebbe avuto senso mandarci qui. Magari stavano lavorando su altro.»

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