XXXV

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Nella mia mente gridai, lo feci a lungo e con ardore, ma nel mondo esterno non emisi alcun suono. Il cervello era del tutto scollegato dal corpo. Riuscii solo a piangere, e anche in modo piuttosto patetico, nel frattempo che Bucky si allontanava dalla residenza. Grace stava ancora urlando e lo avrebbe fatto a lungo, circondata dalla sua famiglia.

Picchiai Bucky sulle spalle. «Dobbiamo aiutarla! Non posso abbandonarla!» strillai.

Il soldato non mi ascoltò, marciava zoppicando per colpa della ferita, senza darmi la minima attenzione. Per lui era una pessima idea marciare di nuovo contro mio padre, affrontarlo una volte per tutte a testa alta, tuttavia per me era necessario: dovevo salvare Queenie da quei mostri. Nessun altro avrebbe potuto fare qualcosa a parte me.

Mi aveva aiutato tante volte, c'era stata sempre per me e non potevo lasciarla sola.

Glielo ripetei due o tre volte, poi gli impiantai le unghie nel braccio e lo schiacciai a terra con la magia. Mi afferrò le spalle e mi trascinò con sé, facendomi un gran male. Non si lamentò o parlò, si rimise in piedi e continuò a muoversi, tirandomi.

«Ascoltami! Le faranno del male! Non posso abbandonarla!» urlai angosciata.

Scosse la testa. «Non puoi fare niente! Ti ucciderebbero e basta. Non faresti niente di utile per lei o per te, peggioreresti le cose» spiegò e non lo accettai. «Il mio compito è di tenerti al sicuro. Dobbiamo tornare da Balthazar adesso.»

Mi sollevai a tentoni e lo seguii piagnucolando. Il mago ci corse incontro. Aveva l'aria preoccupata e aveva la fronte sudata, forse stava lavorando nell'orto perché aveva le mani e le ginocchia sporche di terra. Mi liberai da Bucky e mi gettai sul ragazzo, soffocando tra le sue braccia.

Mi strinse forte e rabbrividì. «Cosa è successo? Ho avvertito un impulso di magia proveniente dalla proprietà, lo stesso di Queenie. Emily, non erano radiazioni normali, erano...» Lo strinsi più forte, supplicandolo di non dire oltre. «Va tutto bene, andiamo...»

Bucky afferrò la pistola e la puntò contro Balthazar. Il mago non seppe cosa successe, però mi misi davanti a lui per difenderlo.

«Ti prego, no...» lo pregai sottovoce.

«Mi sono rotto le palle di queste stronzate. Dimmi chi sei davvero, ragazzina, e cos'è questo posto. Un passo falso e gli sparo dritto in mezzo agli occhi» mise in chiaro.

Dubitavo che sarebbe riuscito a uccidere Balthazar con una misera pallottola, non era quella però la vera minaccia; non potevo torcere un solo capello a Bucky, altrimenti gli altri Graves avrebbero indagato. Ero stata fortunata ad aver solo lui come testimone e, benché un estraneo alla famiglia, si era dimostrato comprensivo.

Aprii la bocca ma lui scosse la testa, guardandosi in giro. «Non qui.»

Balthazar dondolò sul posto. Immaginò dal tono cosa fosse successo o forse lo lesse dai suoi pensieri. Una veloce punta di incertezza lo colse, non durò troppo dato che il soldato avanzò, gli afferrò il braccio e lo trasportò di peso al cottage.

«Sono cieco, non zoppo!» si lamentò il mago, digrignando i denti. «Molla!»

Aprì la porta e ci gettò dentro con furia. Con la canna della pistola ci indicò il tavolo e io filai là senza metterci becco. Balthazar, per innervosirlo, molleggiò piano e poi ci si sedette sopra, con le gambe a penzoloni.

Il soldato si mise davanti a lui, tenendo sempre la pistola a portata di mana. Raccontai al mio amico tutta la missione senza tralasciare nulla, di come avessi trovato la creatura e l'avessi liberata, di quando fosse morta davanti ai nostri occhi e gli Eretici ci avessero circondati senza vie d'uscita. Avevo scelto da me di salvarlo, di fargli conoscere il mio vero essere a discapito delle sue raccomandazioni.

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