XXXIII

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Alexander falsificò il resoconto della missione e lo firmammo tutti. In poche parole dichiarammo, sotto giuramento al Concilio, che il ventotto agosto presso lo stato di Nuevo León, sradicammo le ultime tracce del movimento della Stigmate di Alain Dijkstra.

Lo stesso giorno, Alex mentì ufficialmente a suo padre, dichiarando nel rapporto che dopo l'intervento dei mercenari ci fossimo ritirati immediatamente. Se l'avesse scoperto, o Lucius avesse deciso di fare la spia (cosa improbabile dato il suo terrore di finire preda dei Graves e le minacce di morte di Bucky), sarebbe finito in guai seri con lo stesso Concilio; quella creatura era stata considerata una mera proprietà e io l'avevo distrutta.

Ero immersa in un guaio assurdo e benché Alex non facesse che struggersi per la missione reale dei mercenari, io non facevo altro che pensare a Bucky, sulle informazioni che ora possedeva su di me. Poteva controllarmi a suo piacimento e così anche Balthazar. Se gli fosse successo qualcosa non avrei avuto la forza di sopportare quel peso.

Non ebbi occasione di parlare con il soldato, mio fratello era sempre al mio fianco ed era troppo nervoso. Non era abituato a mentire, specialmente alla sua famiglia, e giurai che se avesse osato solo dire una parola di troppo gli avrei dato un pugno seduta stante. Io, Alex, Bucky e Lucius oramai eravamo collegati da un'enorme bugia. Il primo che avesse messo un piede in una buca ci avrebbe trascinato giù tutti.

«Sei troppo nervoso!» sibilai dura, percorrendo il vialetto d'ingresso alla tenuta Graves. Alex mi era accanto, insieme al mago e al mercenario, e stava sudando freddo. «È palese che stai nascondendo qualcosa. Dio, non ti hanno insegnato a mentire?»

«Mentire?» ripeté, trovando assurda la parola. «Non puoi mentire a papà. O agli altri! È impossibile. Il Concilio ci ucciderà se dovesse sapere che abbiamo usato la negromanzia per...»

«Ehi!» esclamai forte, pizzicandogli i peli del braccio. «Sei il figlio maggiore di Anselm Graves, datti un contegno.»

Non mi importava se non riuscisse a mentire o essere credibile, doveva per forza farlo. Era stata sua l'idea di dichiarare il falso, io ne avevo solo approfittato. Avevamo adoperato la negromanzia senza permesso e l'avevamo usata per uno scopo che andava contro i dogmi del Concilio, peggio, contro gli ordini di nostro padre.

«Chiudete la bocca, voi due!» ci assalì Lucius, picchiandoci entrambi sulle teste per farci tacere. «Qui tutto ha occhi e orecchie, fatela finita.»

Non mi sentii affatto meglio a tornare a casa, seppure quella missione si fosse ufficialmente chiusa. Niente più viaggi all'estero, niente missioni suicide, niente mostri. I miei problemi si erano accumulati sui segreti di mio padre che, in qualche maniera, erano collegati a me.

Non vidi Balthazar ad attendermi sul patio e deglutii forte, immaginandomi una delle tragiche fini predette da mio padre. Dovetti sforzarmi di tenere il controllo sui chakra, non potevo permettere che i flussi facessero trapelare qualcosa.

Ci aspettavano tutti nel soggiorno. I miei cugini, appena Alex entrò nella stanza, saltarono in piedi e corsero da lui a fargli mille domande e a elogiare le sue qualità. Non mi infastidii e mi limitai a fare tre passi indietro per non finire spintonata da Grace, la quale non fece altro che cantare quanto fosse coraggioso e forte suo fratello. Beatrice gli diede un leggero bacio sulla guancia e Lucius avanzò per primo, salutando gli uomini del ramo principale.

«La missione è conclusa, signore. È andato tutto a meraviglia, come aveva detto. Vorremmo parlare da soli con lei, se ce lo permette. I ragazzi dovrebbero uscire» parlò Lucius, scandendo bene le parole.

Era un mago tutore, come tale aveva diritto ad essere rispettato come superiore dai miei cugini, i quali seppure Graves avevano un'importanza leggermente inferiore a quella dei maghi scelti di famiglia, come Lucius, Diana e Randall.

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