capitolo 26.

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-“Prenditi cura di te, non smettere di crederci, va bene?” mi dice infine Liam, senza accennare a lasciare le mie mani.
Non sono debole, io ci proverò, ci metterò tutta me stessa, tornerò a vedere la vita come un bellissimo dono e non come una punizione.
-“Certo Liam, lo farò” e gli sorrido mentre il peso di quella promessa grava sulle mie spalle.
Mi abbraccia, sottovoce mi ringrazia, e io rimango in silenzio a sentirmi protetta in queste braccia che ogni volta ci sono state per me.
Quando ci separiamo ne sento già la mancanza.

-“Ehm.. Abbie?!” la voce sottile ed irriconoscibile di Freya mi coglie alla sprovvista, mi giro verso di lei e vederla così trascurata, invecchiata e stanca mi da un senso di tristezza del tutto nuovo, non pensavo di poter provare tenerezza guardandola, ma ora il cuore mi si sta sciogliendo.
-“Posso parlarti?” mi giro perplessa verso Liam e lui annuisce debolmente.
Seguo Freya in sala e mi siedo sulla poltrona elegante che da le spalle alla tela di Tower Bridge, lei prende posto sul divano e incrocia le gambe, sembra stia raccogliendo tutta l’energia del mondo per parlare.
-“Credo di doverti delle spiegazioni” dice, tenendo gli indici sulle palpebre chiuse.
Rimango in silenzio mentre nella mia mente scorrono immagini ben definite di tutto ciò che mi ha fatto passare, dalla sera del mio compleanno all’overdose.
-“Non ci sono” dice, e abbassa lo sguardo- “sono stata incredibilmente infantile. Tanti anni fa morì Grace Payne, madre di Louis nonché zia di Liam, una persona straordinaria, dolce, che amava la vita, i suoi figli e la sua famiglia e anche me. Grace ha compiuto un solo errore: si è innamorata, della persona sbagliata, di qualcuno che non l’avrebbe resa felice. All’epoca avevo poco più di 16  anni, Liam 17 e Louis 15appena compiuti. Io e Liam non eravamo niente più che semplici amici, ma è grazie a Grace che ho iniziato ad amarlo”
Fa una pausa, sembra stanca, esausta ma io voglio sapere, non voglio che smetta di parlare.
-“Ho visto Liam soffrire per anni, gli altri ragazzi della nostra età uscivano a divertirsi a fare le prime esperienze del mondo. Io mi presi cura di Liam, gli asciugai ogni lacrima, ma capivo che stava mettendo da parte i suoi sogni per aiutare Louis, in qualche modo. Louis non voleva venire a viverci in America, voleva rimanere a Londra, stava buttando via la sua vita, ha preso strade sbagliate, il dolore lo stava facendo annegare. Amava Grace, era impossibile non amarla, e lui e le sue sorelle hanno molto di lei.
Ho preso parte a quel dolore e sono cambiata anch’io, ho visto Louis crescere, farsi uomo e non volevo che niente rappresentasse per lui altra infelicità. Quando Liam mi ha avvertito che sareste venuti qui, vi ho considerati del tutto folli ed ero preoccupata. Non mi sono mai sforzata di osservarti davvero, non ho avuto il coraggio di Liam o di Louis. E ora, proprio io, ho distrutto i vostri sogni, la tua felicità, ho distrutto Louis, di nuovo.”
Credo di dover piangere, sento gli occhi pesanti, un groppo in gola e le labbra calde ma guardo in alto e ritraggo le lacrime, prendo le sue mani e lei alza finalmente lo sguardo: quegli occhi verdi un po’ acquosi e luccicanti.
Cerco di calmarla non lasciando mai le sue mani e quando sta un po’ meglio accendo una sigaretta e mi alzo in piedi.
-“Liam ti ama Freya, tu ami lui. Avete una bella casa, siete giovani, un giorno magari vi sposerete, avrete dei figli stupendi, girerete il mondo. Non rimproverarti, non pensarci più, hai fatto tanto per gli altri e io e Louis siamo forti quanto basta per romperci in mille pezzi e saperci ricomporre un attimo dopo”
-“Per qualunque cosa fatevi sentire d’accordo?” dice alzandosi a sua volta, non sembra rincuorata o altro ma perlomeno ha riacquisito il suo tono apparentemente sicuro.
-“Lo faremo” dico incrociando le dita attorno a quello di Louis che ora stava vicino a me.
-“È per te” dice Freya porgendomi una scatoletta di Tiffany.
-“Grazie” dico aprendola e guardando un braccialetto sottile e fine al quale era legato una piccola ancora. Ed è proprio così che mi sento, un’ancora, l’ancora di me stessa e di Louis.
Io e Louis usciamo dal vialetto di ghiaia, un ultimo sguardo alla bella casa, alla piscina, a Liam e Freya che ci osservano. Un ultimo sguardo indietro, al passato, a tutto ciò che siamo stati e poi mi costringo ad andare avanti.
Il clacson del taxi suona e lì saliamo senza parlare.
-“Aeroporto John F. Kennedy” dico guardando i biglietti che Liam si era procurato, dove già avevamo un appartamento in affitto: Miami (Florida) -più di duemila chilometri da New York.

Era da mesi che non prendevamo un aereo, continuiamo a non parlare anche quando dopo circa due ore e mezza scendiamo e ci troviamo in un luogo completamente sconosciuto.
Ci limitiamo a seguire dettagliatamente le indicazioni di Liam. La città è immensa ed è difficile orientarsi, sulle strade c’è clima di festa, il sapore dell’estate  fa sorridere le persone.
I ragazzi hanno l’aria di divertirsi come mai in vita loro, i bambini corrono per tutte le direzioni incuranti del traffico, dei clacson che suonano. Corrono verso la spiaggia, verso gli amici, verso la libertà.
I grattacieli mi costringono a tenere la testa alta, abbagliata dalla bellezza di questo posto irreale cerco di memorizzare i nomi delle strade, i vari incroci, gli edifici più importanti.
Dopo aver alternato diversi mezzi di superficie con varie linee di metropolitana ci troviamo nel nostro quartiere: Little Havana.
Troviamo le chiavi di casa sotto lo zerbino del nostro appartamento al sesto piano di un grosso palazzo. È abbastanza grande, luminoso e ben arredato. La proprietaria della casa non abita qui vicino quindi non è riuscita a venire per mostrarcela, Liam si occuperà dell’affitto.
Quando vedo che va tutto bene mi concedo di rilassarmi e mi lascio crollare su una sedia di legno del tavolo della cucina, sospiro esausta.
Louis mi abbraccia, mi bacia e mi tranquillizza e so che ci sarà per me.
 
I primi mesi li passiamo nutrendoci d’ansia a grandi dosi, con la radio sempre accesa per ricevere notizie e sentendo Liam tutti i giorni nel caso il giornale di New York riporti notizie diverse da quelle di qua, ma niente, non hanno parlato dell’omicidio commesso da Louis, non hanno prove e forse le forze dell’ordine non vogliono fare brutta figura.

Per me trovare lavoro qui non è stato difficile, pagano bene anche una semplice commessa e così non dobbiamo dipendere del tutto da Liam.
Ormai è marzo un’altra volta, il rapporto tra me e Louis si limita a qualche ora la sera. Gli effetti della cocaina sul suo viso sono innegabili, proprio come la mia sconfitta.
Ci stiamo perdendo, stiamo perdendo noi stessi in un lungo tunnel degli orrori.
Passiamo le notti a drogarci ed eliminiamo quasi ogni forma di dialogo.
A volte ci limitiamo solamente a qualche canna e allora Louis viene a prendermi in negozio e andiamo in spiaggia o in giro per la città e proviamo davvero ad essere felici, come un tempo.

È in una di queste giornate che ci sentiamo forti, ancora uniti, ridiamo e scherziamo, siamo coraggiosi senza bisogno di droga. No, non oggi. Oggi siamo energici di nostro.
E tra una risata e l’altra iniziamo a sfiorarci di nuovo, le risate diventano respiri accelerati, mentre quelle emozioni di un tempo tornano a farmi battere il cuore.
Un dolore piacevole, tengo le mani serrate alle sue spalle mentre lo bacio come se le nostre labbra non si fossero mai toccate prima.
Fa sempre più male e non me ne rendo conto, succede in un momento.
-“Louis” ma lui mi ignora.
-“Lo sai che ti amo, vero Abigail?”
-“Louis” ripeto con un filo di voce, si era spostato con un secondo di ritardo e il terrore avvampa nei miei occhi. Lo guardo disperata  e deglutisco a fatica.
-“Stai tranquilla Abs, non può essere” dice con l’aria di chi la sa lunga in materia.

Trascorre un altro mese e nessuno fa cenno a quella nottata, da un mese non facciamo l’amore.
E Louis sta peggiorando a vista d’occhio, gli occhi sempre più di fuori, a volte non ha la forza nemmeno di mangiare.
È una fresca sera di Aprile quando Louis entra in casa sbattendo la porta, sventolando un sacchetto.
Sono stranamente nervosa e lo saluto distrattamente, continuando a far girare la pasta nella pentola.
-“Dove sei stato tutto il pomeriggio?” chiedo irritata.
-“In farmacia. Ho comprato un test di gravidanza”
-“Che cosa?” urlo incredula.
-“Louis, non crederai davvero che io sia così idiota, vero?”
-“Be, allora cosa ti costa provare?”
Sbuffo impazientita e prendo la scatola dalle sue mani.
-“Scola tu la pasta per favore” gli dico cercando di mantenere la calma.

Mi chiudo in bagno ed eseguo i passaggi, infastidita da quest’inutile perdita di tempo.
Guardo annoiata il risultato, sto quasi per chiamare Louis prendendolo in giro per le sue assurde ossessioni quando mi sento svenire.
Mi appoggio al muro e sudo freddo per alcuni istanti.

Ebbene, Abigail Hockley è stata talmente idiota da farsi mettere incinta.
Osservo Louis dalla fessura della porta, sta a gambe incrociate  a fumarsi una canna, mentre la pasta è servita nei piatti.
Mi lascio scivolare a terra con la testa tra le mani e immagino un moccioso che corre per casa urlando, lamentandosi del fatto che suo padre non giochi mai con lui.
No, non sono pronta a questo.
Non posso dirlo a Louis, non è in grado di affrontarlo.

E un’idea orribile mi appare come unica via d’uscita.
Mi stampo un sorriso credibile in viso ed esco dal bagno.
-“Allora?” mi chiede, con gli occhi rossi da far impressione.
-“E allora mi sottovaluti Louis. Ovviamente, non sono incinta.” 
La bugia più grossa di tutta la mia vita.

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