capitolo 28.

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Ho camminato, ho corso fino che i piedi mi hanno sorretta.
Ho urlato e gridato fino a sentire la voce morirmi in gola.
Ho preso a pugni e calci il muro ed ogni mobile che mi circonda, fin quando i le mie mani hanno iniziato a sanguinare.
Ho smesso di dormire per paura di sognare fino a quando la stanchezza mi ha dominata.
Ho finito tutti i pacchetti di Marlboro che mi rimanevano, fumando in bagno come una ragazzina,  fino a quando i polmoni hanno detto basta insieme al bambino che ora porto in pancia.
Mai nemmeno una lacrima è venuta in mio soccorso.
Vorrei tanto piangere, sfogarmi, ma non ci riesco mai.

Ogni volta che chiudo gli occhi, rivedo Louis, ogni volta che mi vesto e vedo l'ancora del mio braccialetto devo respingere l'impulso di farmi del male.
Punirmi autonomamente sarebbe la cosa più facile e anche quella che meriterei.
Da quando sono tornata in gabbia non ho più alcun rispetto per il mio corpo, tutto quello che faccio (mangiare, dormire, lavarmi) lo faccio esclusivamente per mio figlio, per nostro figlio.
Non ho saputo salvare Louis ma posso provarci indirettamente.
Parte di lui ora vive in me.
-"Signorina Hockley"
Alzo gli occhi al cielo e mi giro dall'altra parte nel letto.
-"Il signor Horan la attende all'ingresso"
Non ho niente contro Trudi ma non sopporto più nessuno e niente.
Sono le otto del mattino, è il 7 Maggio.

Mi osservo allo specchio, sfilo la camicia da notte e guardo la mia pancia da tutte le angolature possibili.
Sorrido chiudendo gli occhi e un attimo dopo il panico mi travolge.
Sono felice o sono terrorizzata a morte?
Probabilmente tutte e due in eguale misura.
Indosso una casacca blu scura, dei pantaloni larghi ed eleganti, lego i capelli in una coda bassa e mi trucco leggermente.
Da molto non curo più il mio abbigliamento, il mio trucco e quant'altro ma oggi è diverso. Oggi riparto davvero.
Sorrido a Niall e a mia madre per poi andare in sala a fare colazione.
È da un mese che sono tornata e non mi sono mai svegliata cosi presto, nè ho mai sorriso, nè tantomeno ho mangiato di mia spontanea volontà.
Il cielo è azzurro, è raro vederlo così tanto azzurro a Londra.
Sul tavolo c'è già la teiera e la bustina di te alla fragola.
Mentre spalmo della marmellata su una fetta biscottata con fin troppa enfasi, Niall si siede accanto a me. 
Gli sorrido raggiante e bevo a piccoli sorsi il tè. 
-"Stai bene Abbie?" mi chiede alzando un sopracciglio.
Annuisco e lui sorride, un po' meno stanco.
Prende la mia mano sopra il tavolo e sfiora le mie dita lunghe.  
Rimango incantata a fissare le nostre mani e lui anche.
Poi si alza.
-"Devo andare ad una riunione, ci vediamo dopo pranzo, andiamo a fare un giro" dice.
Mi alzo prima che possa farlo lui e lo accomoagno alla porta, lo bacio sulle labbra e lo guardo salire in macchina.
Oggi pomeriggio dirò a Niall che sono incinta.
Pranzo con i miei genitori che mi guardano come se fossi una persona nuova o forse come se avessero finalmente ritrovato la loro Abigail.
Forse mi sono ritrovata davvero.
Cosa sta facendo Louis? Come sta? Dov'è?

Aspetto Niall avidamente e quando torna lo abbraccio.
Niall è una persona buona, mi vuole bene e con un po' di pazienza capirà.
Stiamo seduti in giardino, parlando e scherzando.
-"C'è una cosa di cui vorrei parlarti, non ho mai avuto il coraggio di dirtelo da quando sono tornata"
Il suo sorriso si ritrae, è agitato, alza le sopracciglia come per tentare di indovinare ciò che sto per dirgli.
Io sono abbastanza tranquilla ma non voglio spezzare il nostro fragile rapporto.
Ad ogni modo prima o poi avrei dovuto dirglielo.
-"Il motivo principale per cui ti ho chiamato e ho scelto di tornare è che sono rimasta incinta, due mesi fa"
Non assorbe le parole e mi fissa mentre spalanca la bocca e cerca di richiuderla, i suoi occhi si fanno più intensi, più blu.
-"È già tutto accertato e io lo sento dentro di me, ti prego non evitarmi Niall, continua a proteggermi"
Lui prende le mie mani tra le sue, riflette a lungo sulle parole che poi escono con semplicità dalle sue labbra stanche di sorridere per non far preoccupare gli altri.
-"Lo terremo e crescerà sano, forte e felice"
Tenta di nascondere la sua tristezza, so quanto desidererebbe che fosse suo, poterlo crescere da vero padre e sa che questo figlio mi legherà per sempre a Louis.
So che sta male ma ci tiene più a me che a lui stesso.
Cos'avrei fatto io al suo posto? Sarei esplosa di rabbia, lo avrei trattato malissimo e non gli avrei più parlato e invece lui mi sostiene, mi stringe, allevia il dolore con tanta facilità.
Il telefono squilla in casa e arriva una raffica fredda di vento, il cielo si fa un po' più grigio ma io e Niall restiamo incuranti di tutto ad abbracciarci.
-"Signor Horan, c'è una chiamata per lei" 
Niall si alza e io lo seguo, rimango appoggiata al muro della sala mentre lui risponde.
È una chiamata rapida, ma terribilmente seria, e non mi piace.
Mi sento piena d'ansia e ho brutte sensazioni per questo scappo in camera, cercando di calmarmi.
Quando Niall bussa so già che è qualcosa di veramente negativo e il mio cervello va in tilt.
Mi tappo le orecchie con le mani e mi butto sul letto, come se stessi cercando di mandare via quella sensazione.
Non voglio sapere, non voglio sapere.
Per favore.
Ma Niall entra e mi solleva.
-"Era l'ospedale"
No, non voglio sapere. Ti prego.
Chiudo gli occhi e impazzisco.
-"Era per Louis"
Chiudo i pugni e mi sento morire, non penso più a niente tranne a quanto lo abbia amato.
Quell'ultimo bacio, quell'aria stanca, quel modo che solo lui ha di fare.
-"L'ospedale aveva contattato prima il padre ma non ha risposto" 
Certo, suo padre è uno stronzo e io ho abbandonato Louis, da solo.
Senza famiglia.
-"Hanno chiamato il cugino, un certo Liam Payne, ma abita a New York e sarà qui domani"
Qual è il punto Niall? Dillo, dimmelo.
Perché se no cosi mi uccidi.
Come sta Louis? Cos'ha?
-"Liam ha detto di chiamare te" 
Liam sapeva che io avevo lasciato da solo Louis? 
Non mi interessa di questo, adesso voglio solo sapere.
-"È un overdose da eroina, molto pesante"
Credo di cadere in mille pezzi a terra, accecata dal dolore non vedo più niente.
È tutta colpa mia. Non l'ho salvato.
Non ho saputo fare niente.
Ero qui a progettare il mio futuro con un figlio che è anche suo mentre lui continuava a morire.
È tutto confuso e sfumato, sento Niall tenermi le spalle e sollevarmi da terra mentre io scalcio in direzioni a caso lottando contro qualcosa che non esiste.
L'unica contro cui dovrei lottare sono io stessa, la persona più orribile al mondo.
-"Calmati Abbie"
No, no, no.
È tutta colpa mia.
-"Andiamo Niall, portami da Louis" e parlo con una voce che stento a riconoscere.
Mi vedo per la prima volta per quello che sono davvero: fragile, vulnerabile, infelice, sleale, egoista.
Mi esce un po' di sangue dalle ferite sui palmi delle mani che si erano appena rimarginati, ma ho gettato nuovamente oggetti a terra e preso a pugni spigoli.
Niall mi ha portato via dalle macerie di me stessa e degli oggetti.
Il mio sangue si è seccato sulla camicia costosa di Niall che ora guida, non abbastanza veloce.
-"Più veloce, vai più veloce, Cristo Santo" e continuo a fumare, non mi impedisce di farlo. Perché sono una pazza, e i pazzi hanno i loro privilegi.
Si umetta le labbra e stringe il volante più forte che può, per non rispondermi male.
Ma io sto morendo e lui mi deve capire.
Lui deve capire quanto significhi tutto questo per me.
Andiamo  a 120 km/h: troppo poco, troppo poco.
I clacson suonano e noi sfrecciamo veloci, mi consumo con una sigaretta dopo l'altra. Arriviamo all'ospedale.
-"Sto cercando Louis Tomlinson" dico all'ingresso, con la poca calma che mi rimane, mentre le lacrime si seccano sulle guance.
-"Lei è una parente?" mi chiede senza nemmeno guardarmi, mi innervosisce.
Ignoro Niall vicino a me.
-"Sono la sua ragazza" 
Non lo avevo mai ammesso a nessuno, tantomeno a me stessa e forse io e Louis non lo eravamo neppure, ma questa volta non ho alternativa.
Non posso spiegare quel tipo di rapporto: nè ora nè mai nessuno avrebbe capito.
-"Mi dispiace ma a meno che tu non sia un parente non è possibile entrare"
Riduco gli occhi a fessure e il labbro inferiore trema dalla rabbia.
-"Sono l'unica persona che ha" dico, troppo minacciosa per i suoi gusti.
L'infermiera si stringe nelle spalle e si aggiusta gli occhiali e io mi infiammo di ira.
-"Non posso aiutarti.."
Me ne vado prima che finisca e corro su per le scale, ignorando le fitte in ogni parte del corpo, trovo un infermiere.
-"Sto cercando Louis Tomlinson ha avuto un overdose"
-"Si, si lei è una parente?" 
Alzo gli occhi al cielo.
-"Sono la sorella" rispondo prontamente.
-"È nella camera 18, infondo a quel corridoio a sinistra"
Non lo ringrazio nemmeno perché non so più niente solo che devo andare da lui.
Lo vedo, lo trovo, e vedo me stessa meno di un anno fa, in quel letto a New York.
Il cuore mi si ferma, mi si ferma il respiro e smetto di tremare.
Non sento e non vedo.
Sono morta.
E poi tutto esplode cosi velocemente da farmi cadere a terra, il cuore pulsa troppo veloce, ma devo farmi forza come lui ha fatto con me.
Attaccato ai tubi, più magro del solito, pallido e freddo.
Grandi occhiaie nere sotto gli occhi chiusi, quella smorfia come sorriso messa a prendere tutti per il culo, quei suoi lineamenti dolci che ho studiato e memorizzato alla perfezione.
E piango mentre accarezzo le sue guance o gli sposto i capelli dalla fronte mandida di sudore.
-"Non doveva andare così, amore mio"
E così come il cuore ha iniziato a battere forte, anche le lacrime finalmente escono fuori.
-"È tutta colpa mia, dovevo affrontare le mie paure e rimanere con te, sono una codarda, avrei voluto salvarti"
Prendo la sua mano tra le mie e la porto alla pancia, poi mi accorgo che lo sto macchiando di sangue e lo pulisco subito.
Non smetto di chiedergli scusa ed è stupido che io lo stia facendo solo ora, ora che non può sentirmi, nè vedermi, nè ribattere. E gli sto dicendo tutto questo solo ora perché sono una senza palle. 
-"Se sarà una bambina la chiamerò Grace, amore mio, come tua madre che ti ha messo al mondo, che le devo tutto"
Mi rendo conto che sono stanca morta, che fa troppo freddo e che non l'ho mai voluto cosi tanto.
Vaffanculo, vaffanculo all'eroina, alla droga a quella merda.
Mi ha portato via il mio Louis, il mio raggio di sole.
Piano piano mi addormento accanto a lui, come da molto, da troppo, non succedeva.
-"Abbie" mi scuote qualcuno e subito spalanco gli occhi ma vedendo che Louis non si è ancora svegliato tornerei volentieri a dormire, a evitare la realtà.
-"Abbie, sono le otto, vuoi mangiare qualcosa?" 
Scuoto la testa non riuscendo a parlare.
-"Ce la farà, se tu stai qui con lui" mi dice e gliene sono grata.
Niall è un angelo.
Si siede accanto a me e io appoggio la testa al suo petto, la mano stretta in quella di Louis.
Una situazione strana, assurda ma non mi interessa.

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