capitolo 1.

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-"Del the grazie" rispondo distrattamente alla domanda di Trudi su cosa desiderassi per colazione.
Ero completamente assorta nei miei pensieri, mi chiedevo come le persone che dicevano di amarmi non si accorgessero di quanto mi sentissi terribilmente triste e sola.
Un bacio sulla fronte mi riporta alla realtà, alla mia realtà di ogni giorno
-"Buongiorno Abbie" sorrido incrociando l'azzurro degli occhi di Niall, che prende posto affianco a me, la scena si ripete monotona ogni mattina, come un eterno flash-back o deja-vu
Trudi porta il vassoio con la colazione per poi lasciare soli i "futuri sposi", termine che, ormai, ogni persona per le strade di Londra ci attribuiva.
-"Oggi è un grande giorno Abbie!" esclama mia mamma raggiante, fecendo irruzione nella sala da pranzo, vederla così mi fa pensare che almeno una di noi sarà felice a seguito di quel matrimonio.
Mi limito ad annuire, ogni giorno, da quando sono iniziati questi maledetti preparativi per il matrimonio perfetto, mia mamma inizia la giornata dicendo che ci sono molte cose da fare e troppo poco tempo.
Su quest'ultima cosa mi trovo d'accordo, ho ancora un solo mese di "libertà", anche se questa non si può definire tale, prima di concedermi completamente a Niall Horan.
Un solo mese e poi passerò tutta la vita essendo devota a mio marito.
-"Coraggio Abbie, vai a prepararti, tra mezz'ora sarà qui l'autista"
-"Vado subito" e insieme a me si alza dal tavolo Niall
-"Io esco subito, ho faccende importanti da sbrigare" e mi stampa un bacio sulle labbra per poi prendere la giacca nera e uscire velocemente di casa
Mia mamma incrocia le braccia al petto
-"Siete così belli e giovani, non potresti stare con persona migliore al mondo"
-"Già" sospiro io, mentre Trudi mi chiude il bustino del vestito, legandomi i capelli in una lunga treccia, per poi accompagnarmi all'ingresso, dove mia mamma, insieme alla mia futura suocera mi aspettava discutendo del più e del meno
-"Salve Maura"
-"Ciao Abbie cara, ti senti pronta?"
-"Come potrei non esserlo?"
-"Che brava ragazza" e quasi si commuove.
Il viaggio su quell'auto dura fin troppo, e l'ansia non si fermava, ma fermava me e la mia capacità di prendere decisioni.
Siamo nel pieno centro di Londra, è una giornata grigia e fredda di febbraio.
La proprietaria del negozio di abiti da sposa più importante di tutta l'Inghilterra ci accoglie calorosamente, facendomi complimenti su complimenti, finti sorrisi ai quali io ricambio, visibilmente scocciata.
-"Su cosa sei orientata? Hai già un'idea di come apparire durante il giorno più bello e importante della tua vita scommetto" dice Margareth, questo è il nome della proprietaria di quel posto, che era l'ultimo in cui avrei voluto essere.
In realtà non avevo mai pensato al vestito, non mi interessava, ma non potevo dire cosi, che figura avrei fatto davanti alla mia futura suocera e a mia madre?
-"Io vorrei che sia tutto perfetto, il mio abito deve essere come quello di una principessa" mi rassegno io, facendo l'ennesimo sorriso falso
"Cara con il fisico che ti ritrovi puoi permetterti qualsiasi cosa
Cosi inizia a farmi vedere qualche vestito, che io guardo distrattamente fingendomi interessata, quando mi presenta il quinto decido che era ora di mettere fine a quella pagliacciata, il vestito non era niente di particolare ma faccio un urletto da bambina esaltata esclamando
-"Questo è l'abito dei miei sogni, è meraviglioso"
-"Ne sei sicura Abbie?"
-"Si mamma, è meraviglioso"
Così Margareth mi aiuta ad aggiustarlo, a sistemare il velo e tutto il resto, per poi farmi specchiare, mentre mia mamma e Maura si guardano compiaciute
"è bellissimo, sei perfetta"
Mi continuo a guardare con aria critica, capendo che ormai quella era la mia sorte.
Questo era ciò che la vita mi destinava. 
Quel vestito era davvero meraviglioso, e perfetto, ma io no, io non ero pronta.
Ma poi guardo gli occhi di mia madre che mi guardano orgogliosa.
Forse tutto questo era davvero quello che volevo, dovevo convincermene perché non c'erano altre possibilità
e mi trovo a sorridere vedendomi finalmente matura.
Sono pronta.  o almeno provo a convincermi di esserlo.

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