capitolo 27.

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Due estranei: ecco come ci siamo ridotti.
Ciò che è peggio è che nessuno tenta più di nasconderlo ormai.
Indosso magliette ogni giorno più larghe e qualche volta le fitte allo stomaco sono talmente forti da disegnarmi in viso smorfie sospettose.
-"Non stai bene Ab?" mi chiede Louis mentre digrigno i denti, piegata in due dal dolore lancinante.
-"Ah, no, tutto bene. 
Sono queste maledette cipolle mi fanno sempre lacrimare!" e sorrido, mentre una goccia di sudore scende dalla fronte. 
Mi sembra ancora più perplesso, il suo sguardo va da me al tagliere sul quale sto affettando.. pomodori e non cipolle. Merda.
Per quanto le mie vane barriere continueranno a proteggermi?
Gli sorrido, di nuovo, cercando di non fargli fare altre domande, e lui finge di non capire continuando a rigirarsi una busta di cocaina tra le mani.
-"Potresti smetterla Louis? Apparecchia la tavola piuttosto" butto lì, irritata e nervosa per il suo comportamento immaturo- date le circostanze.
Ma lui non sa, e come reagirebbe se sapesse? Continuerebbe a drogarsi? Smetterebbe per sempre? Rimarremo a Miami? 
Sono troppi i "se" e i "ma", sono troppe le domande, troppo poco tempo, e una vita da proteggere.
Ora siamo in tre, che almeno uno si salvi.
È ingiusto e scorretto che un figlio soffra per la depressione e l'assenza dei genitori, e se sono davvero incinta mio figlio sarà felice. Dovesse cascare il mondo, riceverà tutta la felicità che io non ho saputo conquistarmi mai.
Louis non si alza ad aiutarmi, rimane a drogarsi, sniffando un po' di quella merda che gli fotte il cervello.
E non provo più nemmeno a fermarlo, non credo di poterlo salvare, è una battaglia persa perché si sta uccidendo da solo, non ci prova nemmeno ad aiutarsi.
Ed è triste vedere una vita spezzarsi così, non rimane più niente di quel Louis di un anno prima, è solo un corpo senz'anima, due occhi sporgenti e vuoti, circondati da occhiaie marcate.
Louis non è mai stato così, lui alla vita ci teneva tanto ma ora la sta buttando via. 
È colpa mia, sono per lui altro dolore, altre delusioni. Ha sbagliato ad affidare tutto quanto a me, ero solo una ragazzina quando lo conobbi, non potevo farmi carico di un cuore spezzato e un anima in frantumi, ma brillava ancora di speranza ora no, ora non più.
Certo, è unicamente colpa mia se quell'uomo è morto quella notte, è come se lo avessi ucciso io. 
Un'altra fitta, questa volta al cuore.
Non posso più stare così.
Non posso più, davvero.
E Louis sta collassando sul divano.
Infilo velocemente un paio di scarpe e corro giù per le scale, fa freddo ma l'aria fresca mi aiuta a mantenere la concentrazione, altrimenti potrei abbandonarmi qui, in mezzo a questo immenso stradone e non alzarmi più.
Corro verso la cabina telefonica che guardo ogni giorno ormai, inserisco qualche moneta, chiudo gli occhi per un attimo, aspetto che il battito del cuore si calmi.
Devo essere completamente pazza.
'Adesso chiamo Liam' penso, ritenendo di non avere il coraggio necessario per fare la scelta giusta.
E invece no, mi faccio forza, tengo gli occhi chiusi e focalizzo il numero.
Londra. Casa.
Definirla casa è decisamente inopportuno.
Che poi, cosa cazzo vuol dire casa? Pensare che è una delle prime parole che ai bambini fanno imparare, e io sono arrivata a 21 anni senza saperlo ancora.
Ho girato il mondo senza comunque trovare un significato, o forse si..
Lì, dove i miei occhi si immergevano in quelli azzurri e sinceri di Louis, ed ero talmente felice da non riuscire a respirare, ecco: lì era casa.
Ma ora non c'è più, quella sensazione di proprietà, di possesso, che io appartenessi a lui, e lui a me, è sparita, per sempre. 
Digito il numero quasi automaticamente e faccio partire la chiamata, tremando, rabbrividendo dall'ansia.
Primo squillo: calcolo velocemente il fuso orario tra qui e Londra.
Secondo squillo: che idea cretina, sono un idiota.
Terzo squillo: adesso metto giù, e faccio a pezzi questa stupida cabina telefonica.
Quarto squillo: 
-"Pronto?" 
Il cuore impazzisce, le gambe tremano e vanno per i fatti loro, la voce non esce.
-"Si? Pronto?" tuona ancora Niall.
-"Pronto? Niall Horan, chi parla?" ribadisce, accendendosi di rabbia.
-"Si, Abigail Hockley" un sibilo.Tutta la mia energia, la mia determinazione, il mio coraggio ridotti a una vocina sottile.
-"A-Abbie, non è possibile" bisbiglia, sconvolto.
E ha ragione, non ha alcun senso.
-"Niall, ascoltami, devi venire a prendermi"
-"Non è possibile!" ripete lui, perde la calma, si agita.
Adesso tocca a me farmi forza.
-"Dopo un anno, dopo un anno" mi precede prima che riesca a dire qualcosa.
E cosa potrei dire? Sono stata ingenua, stupida, irrimediabilmente sognatrice, ma sono stata punita e sconfitta dai miei sogni più grandi e rosei. 
-"Niall, devi venirmi a prendere"
Ci metto quasi un'ora a convincere Niall di quanto disperata sia la situazione, e alla fine cede e capisce che ormai non è più una questione di orgoglio ma un salvataggio. Non può e non vuole lasciarmi morire, annegare senza nemmeno provarci.
Forse- in una versione più romantica della realtà - mi ama, forse è il suo enorme senso del dovere che lo spinge a non abbandonarmi.
Mi trovo a fissare incantata l'ancora legata al mio polso, pensando a tutti i suoi significati.
Possibile che Liam e Freya prevedessero che avrei potuto avere simili difficoltà?
Forse quest'ancora sta a significare che devo rimanere, che devo essere forte.
Ma non credo potessero prevedere che rimanessi incinta.   
Ho fatto di tutto per salvarlo, annientandomi.
Quando torno a casa corro in camera, ma Louis non c'è, non mi sorprende: la sera esce sempre a camminare, dice che lo aiuta a 'svuotare la mente'.
Apro la valigia sul letto e inizio a riempirla, mentre il cuore sprofonda e il cervello non fa altro che ricordarmi la persona orribile che sono.
Mi tengo le mani strette alla pancia, impercettibilmente gonfia, e chiudo gli occhi, convincendomi che sia giusto così.
-"Quando pensavi di dirmelo?" 
Sobbalzo e nascondo inutilmente la valigia dietro di me, buttandola sotto il letto.
La voce di Louis è ridotta a un sussurro, traspira delusione e rabbia. 
Tiene lo sguardo basso, non riuscendo a guardarmi, i pugni serrati e le labbra sottili formano una piega dura sul suo viso più stanco che mai.
Non so precisamente a cosa si riferisca con la sua frase e mi sembra che niente sia reale, che niente abbia senso.
-"Louis" sospiro imbarazzata, colpevole e triste.
-"Ti senti in trappola Ab" dice osservando fuori dalla finestra, dandomi le spalle mentre continua ad azionare l'accendino e a spegnerlo con l'indice dell'altra mano.
-"Pensavi davvero di non dirmi niente e andartene cosi?" e questa volta mi guarda, e mi squadra come se mi vedesse per la prima volta e poi fissa riluttante i soldi sul comodino che avevo deciso di lasciargli, nel caso volesse andare via anche lui.
-"Non li voglio, prenditeli" dice freddo.
-"Louis" ma non ho la forza per parlare, non posso dire la verità e non posso mentire di nuovo. 
-"Così hai chiamato Niall" dice e dopo beve dalla bottiglia di sambuca.
-"E quando viene a prenderti?" riprende dopo aver guardato la bottiglia con una smorfia di disgusto dovuta al sapore dell'alcol.
-"Domattina" rispondo a testa bassa mentre lui mi gira intorno.
-"Domattina" ripete lui.
Ho paura che possa farmi del male, è talmente arrabbiato che potrebbe uccidere anche me senza rendersene conto e come posso dargli torto?
Sono orribile.
Mi prende per un braccio e inizio a tremare, lui sembra colto alla sprovvista dalla mia reazione ma sorride, un sorriso folle. Mi alza il mento con troppa energia, la sua stretta mi fa male ma rimango impassibile.
-"Mi ami?" mi chiede e avrei preferito che mi tirasse uno schiaffo piuttosto che rispondere a quella domanda.
-"Ab, guardami: mi hai mai amato?" e la sua voce trema mentre le lacrime iniziano a rigargli il viso, mettendo ancora più in evidenza le occhiaie.
-"Louis, è stato tutto un errore, questo non è il mio posto e nemmeno il tuo, noi non.." dico mentre il cuore mi si spezza e il mio sguardo diventa ancora più freddo.
-"No, no, zitta, non dire niente. Ti prego. Non dire così, non dire che è stato un errore. Ti ho amata Abigail, ti amo ancora e forse non smetterò di farlo" e mi sfiora il viso, mi bacia e io non sento niente o forse provo talmente tante emozioni da annullarsi l'una con l'altra.
Poi lui si sposta subito, abbassa il cappello di lana rosso e sparisce di nuovo, senza guardarsi indietro lo vedo sparire dalla porta.
Quel bacio è stato il nostro addio.
Sto tremando.
Mi porto una mano al cuore e dopo qualche istante di panico torno a sistemare la valigia.
Inutile dire che non provo nemmeno a dormire o a sdraiarmi su quel letto comodo, indosso dei jeans pesanti e un maglione nero sopra una camicia leggera, mi allaccio con cura un paio di vans sgualcite e, tanto per distrarmi, lego i capelli in una treccia a lisca di pesce.
Il freddo che provo è indescrivibile, il vuoto incolmabile e non smetto di tremare, tra qualche ora rivedrò Niall che forse in mezzo alla folla non mi avrebbe nemmeno riconsciuta.
Sono pallida e magra ad eccezione di quella lieve curva della pancia.
È solo mezzanotte e mi sembra che il tempo si sia fermato.
Sputo contro allo specchio che riflette la mia immagine: una bambina viziata e capricciosa che vuole avere tutto e stupida illusa, invece non ha niente.
Lascio comunque i soldi a Louis, sperando che venga a prenderli e poi chiudo la Casa con tre giri di chiave.
Lascio le chiavi sotto lo zerbino e aspetto che il taxi arrivi.
Quando salgo mi sento cosi debole che non desidero altro che il taxi salti in aria per qualche assurdo motivo.
Il viaggio dura poco più di mezz'ora e dopo aver pagato mi trascino fino all'ingresso. La prima volta nella mia vita in cui vado in un aeroporto senza Louis.
Aspetto diverse ore seduta in una grande sala, addormentandomi di tanto in tanto.
Mi alzo dirigendomi ad un bar solo per ingannare il tempo, prendo posto a un tavolino e appoggio il gomito al tavolo, chiudendo gli occhi.
-"Desidera qualcosa?" mi chiede una cameriera dal tono infastidito.
-"Una birra" rispondo sovrappensiero.
-"Sono le cinque di mattino"
La guardo negli occhi.
-"Allora portami qualcosa che si può bere alle cinque del mattino" dico seccata.
-"Un caffè?" mi chiede, un nodo allo stomaco.
-"Mi fa schifo il caffè"
La cameriera se ne va e tutto è assurdo, non può essere reale tutto questo.
Dov'è Louis? Perché non è qui con me?
'L'ho voluto io' mi ripeto e mi odio.
La cameriera torna con un latte caldo e mi sorride.
-"Grazie" dico, e pago.
Meno di un'ora dopo guardo i tabelloni e constato che l'aereo di Niall è appena atterrato.
L'ansia a mille, lo vedo nella folla.
Guarda di qua e di là, invecchiato di secoli, notti insonni, sensi di colpa.
Sembra che il tempo non sia mai trascorso, di nuovo chiusa in gabbia, mi manca il respiro.
Incrocia il mio sguardo e aumenta il passo, si ferma a qualche metro da me come se si aspettasse qualche assurda reazione.
-"Sei davvero tu, Abigail?" 
Cerco di rispondere ma la voce non ne vuole sapere e così annusico debolmente, senza smettere di mantenere il contatto con i suoi occhi blu appena riemersi da un lungo periodo di oblio.
Allarga le braccia e io mi ci getto dentro, non saprei spiegarne il perché ma ne ho bisogno, ho bisogno di un contatto umano.
Il bacio di Louis è ormai troppo lontano, se voglio andare avanti.
Ci sediamo fuori dall'aeroporto, c'è l'alba ma fa freddo.
Lui incrocia il suo braccio attorno alle mie spalle, come se niente fosse successo, come se ci trovassimo qui per una vacanza e vorrei urlare di spostarsi ma non posso fare niente. 
Una sigaretta, voglio una sigaretta.
-"Fumi?" mi chiede spalancando gli occhi mentre mi guarda usare l'accendino. Sorrido.
-"Fumo, bevo, mi drogo, rubo.." dico stringendo la sigaretta tra i denti e quando alzo lo sguardo, per un istante mi sembra di vedere Louis. Scuoto la testa.
-"Be piacere, io sono Niall Horan"
Sorrido di nuovo, quel lato di Niall è quello che mi piace di più, a volte sa rendere le cose davvero semplici.
-"Ab" rispondo alla sua presentazione, ricordando che Louis era l'unico a chiamarmi 'Ab', il mio sorriso si spegne.
Mi sposta i capelli dalla spalla.
-"Cosa? Cosa sono questi segni? Ti ha marchiata! Come.. Un cavallo!" dice osservando i morsi possessivi di Louis, io levo la sua mano dalla mia clavicola e sposto di nuovo i capelli.
Non voglio contatto fisico.
Mi alzo e guardo la Luna, forse anche Louis la sta guardando e allora siamo più vicini.
-"Torniamo a casa? Questo posto non mi piace, stupidi americani" 
Lo guardo a lungo, senza dire una parola e poi lo seguo verso l'aereo.
Ti prego Louis, vattene di qui, riprendi in mano la tua vita.
Non posso prendere un aereo senza di lui. Non posso andarmene senza di lui.

Londra.
Sto attraversando Londra in taxi, con Niall.
L'aeroporto mi ricorda quel giorno tanto lontano con Louis, stesi a terra a guardare gli aerei volare lontano.
Ci lascia davanti alla casa in cui ho trascorso gli ultimi mesi a Londra, la futura casa mia e di Niall dopo il matrimonio.
-"Si rivolga a Trudi per il pagamento" dice Niall in tono altezzoso, e penso a Louis che con i taxisti scherzava sempre un po', scappava senza pagare o costringeva me a farlo.
Niall prende la mia valigia e suona il campanello, Trudi si precipita ad aprire, inchinandosi quasi.
-"Ha fatto un buon viaggio Signor Horan?" chiede premurosa.
-"Signorina Hockley" e dice qualcosa che non ascolto mentre accendo una sigaretta.
-"No, Abigail. Non ci entri con quella in casa" e Niall mi sfila la sigaretta di bocca lanciandola lontana.
Non oso rispondere ma sono furiosa.
I miei genitori sono in casa, seduti composti sui divani eleganti.
È come se mi aspettassi che ad un certo punto arrivino Liam e Freya, come se non potessi essere davvero a Londra ma a New York, a farmi abbracciare dal mio amico.
Cala il gelo e ci metto alcuni minuti per capire che Liam non arriverà mai.
Mio padre non parla, mia madre si alza mi guarda e piange, nei suoi occhi leggo tutta la delusione ma mi vuole comunque bene, e preferirei che non me ne volesse affatto cosi non dovrei sentirmi in colpa per non sentirmi legata a lei in alcun modo.
Li odio, li odio tutti.
-"Trudi accompagna Abigail in camera sua, per favore"
No, in camera mia no.
Mi accompagna ed esce subito chiudendo la porta.
Tiro calci e pugni a tutto quello che vedo, urlo, apro la finestra e vedo Londra e mi viene da vomitare, mi strappo i capelli e mi butto a terra.
Più di un anno fa, tra queste stesse mura, avevo iniziato a sognare.
Era un sogno bello, dove esisteva l'amore, la felicità, la giovinezza.
Poi è iniziato l'incubo, tutto si è trasformato, l'amore in istinto di conservazione, la felicità in lunghi periodi di depressione, la giovinezza in droga che ci riduceva a due parassiti, vecchi.
E ora mi sono svegliata e la realtà è questa.
Non posso rimanere immobile.

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