CAPITOLO XV

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Mi sveglio, gli occhi ancora impastati dal sonno; spengo la sveglia e guardo verso la porta chiusa. Noto dalla fessura in basso che la luce in corridoio è accesa, ciò vuol dire che mia madre non solo è in casa, ma è addirittura sveglia. Mi chiedo a quale avvenimento importante devo tutte queste attenzioni; ho forse fatto qualcosa di male?
Scendo dal letto e mi avvio verso la cucina, decido di comportarmi normalmente, anche perché oggi pomeriggio devo prendere le mie pillole se stasera voglio andare a casa di Debby. Solo l'idea mi fa sorridere.
- 'Giorno.- dico, prendendo una tazza e preparandomi la veloce colazione.
- 'Giorno.- mi risponde totalmente disinteressata. Anche quando c'è, in realtà non è presente davvero. Finito, mi alzo e vado verso la mensola; prendo tre compresse, più della dose che mi ha prescritto il Sig. Brown, ma solo così hanno effetto su di me, e me le fico in tasca.
-Louis, sbaglio o hai preso le tue medicine?- per un attimo si illumina in volto.
-Non sbagli- "per una volta" penso.
-Sta sera vado a mangiare da una amica- la informo, anche se so che non gliene importa più di tanto; sono sicuro che sta sera lei non ci sarà.
-Ma...come?! Oggi pomeriggio arrivano le tue sorelle da New York, dobbiamo passare la serata insieme.- -Dobbiamo?- inizio ad arrabbiarmi.
-Fammi capire, dovrei fingere per un week end di avere una famiglia normale ed essere felice, solo per non far star male Daisy e Phoebe, che stanno benissimo ed hanno una famiglia normale!- alzo la voce.
-Definirla normale...-
-È sempre meglio della nostra. E comunque mi dispiace, ma sta sera non ci sono; se vuoi passerò tutto domani con loro, ma oggi sarò impegnato. La discussione è chiusa!- mi avvio verso la porta e la apro.
-La discussione è ancora aperta, invece! Che ti piaccia o no, Louis, io sono ancora tua madre e devi rispettare le mie regole, finché vivrai sotto il mio tetto.- la rabbia mi esplode nel petto, mi giro furioso e vado verso di lei velocemente; mia madre retrocede, impaurita dalla mia reazione improvvisa, arrivo a pochi centimetri da lei e sbotto
-Mia madre? Tu non sai neanche cosa significhi questa parola e non lo sei più stata da quando papà se n'è andato con le gemelle. Me la sono dovuta cavare da solo, sempre; e dimmi, se ti ricordi l'ultima volta che ho avuto un attacco di panico. Sai quando è stata?- mi guarda sempre più spaventata, io mi avvicino ancora, arrivando a sfiorare il suo naso; lei rimane zitta
-Rispondimi!- grido, lei lascia un gemito di terrore dalla gola.
-Non me lo ricordo.- sibila lentamente. Mi distacco un poco da lei, la fisso in modo ferreo negli occhi.
-Due settimane fa- lo sgomento nel suo sguardo, le avevo detto che non me ne erano venuti più.
-Dove eri due settimane fa, mamma? Non lo so, ma ti dirò dove non eri. Qui. Ma, del resto, non ci sei mai; questa casa è tua perché l'hai comprata tu, ma non te ne prendi cura e sembra che ti serva solo come posto dove scaricare me. Con chi eri? Non fai un lavoro così importante, quindi non puoi usare questa scusa.-
Non risponde, rimane impietrita, ferma, con gli occhi fissi sui miei possibili movimenti, sembra che le stiano per uscire fuori dalle orbite.
-Eri con un uomo?- trovo il coraggio di chiedere.
-Cosa vuoi dire con questo?-
-Ti sto chiedendo se vai a letto con un uomo, quando non ci sei.- la guardo negli occhi
-Ammesso che sia solo uno...- la sua mano arriva violenta sulla mia faccia. Uno schiaffo, che lascia solo un segno rosso sulla mia guancia. Giro la testa verso il pavimento, poi punto i miei occhi freddi sul suo volto, e provo disprezzo verso la donna che mi ha fatto nascere.
Uno scatto violento, lancio la tazza contro il muro, cocci di ceramica schizzano da tutte le parti ed un rumore assordante come di mille forchette che cadono a terra rimbomba per tutta la stanza.
I suoi occhi, velati da uno strato di lacrime che non attenderanno a lungo prima di scendere, sono uno spettacolo di cui non gradisco la vista. Così mi giro, prendo il mio zaino e la scatola con le pillole, ed esco di casa sbattendo la porta.

Sono un idiota. Un idiota con la I maiuscola.
Dire che è stata tutta colpa della malattia è inutile, so bene che non è così. Sono solo un pazzo ed un violento, e se dovessi scattare così anche questa sera? Non posso permettermi di perdere anche Debby. Faccio scivolare la mia mano dentro la tasca ed estraggo la boccetta con le pillole, devo essere energico e positivo oggi. Per questo prendo una dose in più di medicinali, e velocemente le faccio scivolare in gola con un po di acqua.
La giornata si prospetta lunga e molto complicata; a renderla peggiore arriva il Sig. Dawson nel cortile della scuola, che mi cammina incontro.

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