CAPITOLO XVII

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Mi sveglio cinque o sei volte per tutta la notte, mi giro e mi rigiro nel letto sperando che Daisy smetta di russare e Phoebe di parlare nel sonno.
Anche se il motivo della mia insonnia non sono le mie rumorose sorelle, ma loro.

Non mi lasciano dormire, non mi lasciano pensare, non mi lasciano respiro. Sono sempre lì a torturarmi, ed inizio a chiedermi se valga davvero la pena vivere in questo modo. Se questa si può chiamare vita.

Non c'è momento della giornata nel quale non li senta, è un brusio continuo, come di milioni di piccole persone che mi bisbigliano alle orecchie cose senza senso. Alle volte, però, riesco a capirli. Riesco a distinguere alcune parole, ma sono tutte insulti, prese in giro, umiliazioni. Arrivano quelle ed improvvisamente il panico mi assale; non saprei spiegare cosa si sente durante un attacco di panico, perché sono tante cose insieme e come potrei spiegare una sensazione tanto straziante?

Potrei usare le solite frasi tipo un peso che ti schiaccia il petto, mille coltelli che ti puntano sulle tempie, le lacrime che corrono sul tuo viso o quel turbine di confusione dentro il quale vieni catapultato e non riesci ad uscire. Si, potrei dire così, ma non sarebbe esatto. Perché è cento volte peggio.

Mi alzo dal letto e vado in bagno. L'orologio sul muro segna le tre del mattino, ed io non ho sonno. Guardo il mio riflesso allo specchio, rimango fermo davanti ad esso per un po, osservo il mio viso attentamente. Ogni particolare, ogni sfumatura di pelle, ogni imperfezione; i miei occhi sono blu come al solito, sono sempre gli stessi, le labbra invece sono diverse, più spaccate e c'è ancora del sangue su di esse.

Guardo il mio collo, lungo, snello; le clavicole che si intravedono dal pigiama grigio. Sporgenti, magre.
Faccio scorrere la mia mano sulla spalla, e poi su tutto il collo, infine tocco il mio torace, lentamente davanti allo specchio, ed osservo la mia pelle aderire al tessuto che la ricopre, sotto il mio tocco percepisco ogni centimetro di corpo, le ossa sporgenti dalla mia insana magrezza. Mi allontano solo un po dallo specchio, tanto da poter vedere la mia figura per intero, poi mi spoglio.

Rimango in mutande davanti al grande oggetto riflettente la mia immagine quasi nuda.
Le gambe gracili ricoperte da peluria bionda, piene di graffi e lividi causati dalla mio maldestro modo di essere, i miei piedi grandi e ossuti, più verso l'alto la mia pancia quasi inesistente, le ossa delle anche sporgono talmente tanto da farmi paura, non riesco a guardarle.

Il resto però, non è tanto meglio.
Mi piacerebbe essere uno di quei ragazzi della mia scuola superpalestrati, che hanno già la macchina e non si vergognano di andare al mare, e si portano dietro metà istituto e hanno una casa al mare dove stare tutto un week end, ed organizzano feste che durano tutta la notte e si ubriacano e la mattina dopo dormono fino alle due del pomeriggio e poi tutti nuovamente in spiaggia.

Non mi hanno mai invitato ad una di quelle feste.
Ma a me va bene così, perché tanto non ci sarei andato. Non amo la spiaggia ed il mio corpo fa alquanto paura, come faccio io.
Però a quelle feste si rimorchia sempre. Tutti, dai più muscolosi ai Nerd del club d'informatica (si, vengono invitati anche loro a quelle feste e si, rimorchiano anche loro.) .
Quindi non mi farebbe poi tanto schifo partecipare, ma come al solito, spaventerei tutti e basta.

"Anche andando alla più fila di quelle feste, rimarresti comunque da solo alla fine della serata."

Non riesco neanche ad arrabbiarmi per questo. Forse perché, effettivamente, non c'è nessuno con il quale arrabbiarsi al di fuori di me stesso, o forse perché ha semplicemente ragione.
Chi amerebbe una persona che sente voci nella sua testa? Chi si prenderebbe mai cura di uno come me? Un mostro!

Nessuno mi amerà mai, nessuno mi proteggerà da me stesso quando ne avrò bisogno, e non lo compatisco, non sono certo facile.
Svegliarsi nel cuore della notte perché ho un incubo, calmarmi quando li sento, non poter uscire di casa perché mi sto facendo la doccia e non posso rimanere in casa da solo. Lottare perché non voglio prendere le mie pillole e subire i miei sbalzi d'umore.

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