CAPITOLO XIX

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-Un'altra volta? Che cazzo vuol dire?- grido a voce alta, da solo come uno stupido.

Ma non mi importa, perché ho così tanta rabbia nel petto e sono talmente frustrato che non riesco a vedere a un palmo dal mio naso. I miei polmoni si alzano e si abbassano irregolarmente, ad un ritmo spropositato e il mio respiro pesante sfuria dalle mie narici come un toro quando carica.
Chiudo gli occhi e stringo la mascella ma questo non migliora la situazione. Afferro il telefono e scrivo un messaggio a Debby, per poi lanciarlo contro il muro e guardarlo andare in mille pezzi che rimbalzano per tutto il pavimento.

Un grido straziato lascia le mie labbra e presto la mia mano incontra il muro freddo della cucina, lasciando una decina di graffi tra le mie nocche, strette ancora talmente tanto in un pugno da essere quasi bianche e non mi curo del dolore fisico che sto provando adesso, perché non si avvicina minimamente a ciò che mi ha fatto mia madre. Togliermi anche il Natale. Ho diciannove anni, non le ho mai chiesto nulla, pensavo che mi avrebbe almeno concesso un giorno insieme a lei.

Invece mi sbagliavo.

Passano dieci minuti, e sento il campanello suonare, guardo la porta stranito: chi potrebbe essere a quest'ora?
La persona dietro il legno scuro inizia a bussare; un bussare insistente, incisivo, quasi preoccupante.
-Louis? - riconosco la voce.

-Louis, ci sei? Apri la porta!- è Debby. Cosa ci fa qui?
Il suo incessante bussare si fa ancora più forte. Sembra che sia spaventata o allarmata, allora mi alzo e vado ad aprire la porta alla ragazza impaziente.
Non ho il tempo neppure per chiederle cosa ci faccia a casa mia a quest'ora, che mi salta addosso stringendo le sue braccia attorno al mio collo, in un abbraccio soffocante.
-Oh Dio, grazie al cielo sei vivo!- sospira sulla mia spalla. Si allontana dal mio corpo quel poco che le basta per riuscire a darmi uno schiaffo in piena guancia.

Aspettate, ma cosa...?

-Perché lo hai fatto?- lo sgomento nella mia voce era talmente tanto da non riuscire a farmi pensare.
-Hai idea di cosa hai fatto? Mi hai spaventata a morte!- dice furiosa.
-Prego?- le chiedo spiegazioni in tono confuso. Lei mette la mano in tasca ed estrae il suo cellulare, mostrandomi il messaggio che le avevo inviato poco prima di lanciare il mio telefono contro il muro.
-E allora?- chiedo.
-"Prendo il volo." . Credevo volessi ucciderti!-
-Ucc_ cosa? No! Volevo prendere un volo per New York e trasferirmi da mio padre! - spiego
-Ah beh, grazie tante, io come facevo a saperlo? Pensavo volessi prendere il volo..dalla tua finestra! - spalanco gli occhi sorpreso.
-E tu...sei venuta da casa tua fino qua di corsa perché avevi paura volessi uccidermi?-
-Certo!- un altro schiaffo in piena faccia -È a questo che servono gli amici!-
- - - - -
Una mezz'ora dopo, grazie all'aiuto di Debby, l'appartamento riacquista un aspetto accettabile. Abbiamo rifatto il divano, raccolto i pezzi di telefono in giro per il salotto, appeso un quadro di mia madre sopra un buco che avevo fatto tirandoci uno dei miei soliti pugni. Certo, la parete in cartongesso non è molto resistente, motivo per il quale si buca subito.

Quando finiamo di pulire, sono oramai le dieci e mezza di sera e fuori è già buio pesto. Non me la sento di far andare la ragazza a casa da sola, considerando la gente che abita in questo buco di paesino; così chiamo Jade con il telefono fisso e le chiedo il permesso di ospitare la nipote a casa mia. Stranamente, la nonna di Debby acconsente, e la ragazza dagli occhi grigi passa a notte da me.
Prendo le lenzuola, la coperta ed un cuscino ed improvviso un letto sul mio divano.
Mi cambio e mi metto a dormire, Debby esce dal bagno con un pigiama che le ho imprestato io per questa notte; e per pigiama intendo una mia felpa e dei pantaloncini. Mi da la buonanotte e poi sparisce dietro la porta della mia stanza.

Okay. Ciò che avrebbe fatto un qualsiasi altro ragazzo al mio posto, è meglio se non lo dico neanche; ma siccome io sono io e non ho tutto a posto, la notte la passo sveglio davanti alla camera, seduto per terra, a spiarla mentre dorme dal piccolo spiraglio di porta che ha lasciato aperto.

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