CAPITOLO VI

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Oggi fortunatamente non ho lezione col Sig.Dawson. Dopo il bidone di ieri, non credo di avere il coraggio di guardarlo in faccia. Non per le prossime tre settimane, almeno.

Cammino per il corridoio, come sempre con i libri della prima ora in mano, il cappuccio della felpa a coprirmi la testa e gli occhi bassi. Sto zitto, tanto non avrei nulla da dire. La borsa si fa più pesante sulla mia spalla che inizia a farmi male.

"Quando sarò vecchio avrò seri problemi alla schiena" penso
"Non arriverai a vederti neanche la prima ruga." Sono ancora loro.

Ma oggi non ho voglia di discutere, e finché non mi faranno del male, non darò loro motivi per farlo.

"Ah ah ah. Gentili come sempre, grazie."

Ridono.

Quella risata isterica, quasi malinconica, che mi fa gelare il sangue tutti i giorni, quando fa eco nella mia mente e non mi fa dormoire la notte. Oramai ci convivo da un bel po', e so che prima o poi dovrò farmene una ragione.

Eppure, non c'è momento della mia vita che passi senza il costante terrore che loro tornino; tornino a perseguitarmi, ridere di me.

Ogni tanto provo a immaginarmeli, come delle persone in carne ed ossa. Non ci riesco mai.

Non riesco a proiettarli davanti a me, che mi fissano, in attesa di un mio intimo, minimo movimento.

Arrivo al mio armadietto, finalmente, lo apro.

Dentro, il solito disordine regna sovrano incontrastato, come la mia mente, una valanga di foglietti volanti e promemoria di cose che dovrei fare.

Osservo invece l'anta, dove sotto al poster di Nick Cave si trova un piccolo contenitore. Immagino che serva a metterci le penne e le matite, ma io in cinque anni di scuola non l'ho mai usato. Tranne ora, dove conservo segretamente la matita di D.G.

La osservo.

A volte mi sembra di essere solo una matita bianca in un Universo di colori.

-Tomlinson?- mi volto di scatto. Il Sig. Dawson si trova di fronte a me e mi guarda con i suoi occhi chiari, tanto intensi quanto tormentati. Perché vuole parlare con me? Non lo so, ma come minimo devo rispondere.

-S_si. - da quando balbetto!?

Sta zitto, immagino aspetti che io dica qualcosa. -Mi scusi per ieri....ecco....io n_non...- non trovo le parole, mi blocco.

-Tranquillo, non fa niente. Però ho dovuto bere tutto il tè. Capisco che un ambiente come il mio può spaventare, anche se io ci abito da due anni e non sono un criminale.-

Dovrebbe essere una specie di battuta, eppure lui rimane serio.

Forse ora ho capito. La frase.
"Anche il più coraggioso di noi, ha paura di sé stesso "

Annuisco. Sorrido appena.

-La verità è che non dovevo dirle niente di importante. L'opzione era andare dallo psicologo- "è uno psichiatra, ricorda. Sei pazzo" stringo i pugni. Vado avanti.

-Avevo bisogno di una scusa per convincere mia madre a non mandarmici. Anzi, continuerò ad usarla, se non le dispiace. Però stia tranquillo, passerò i miei pomeriggi al Minerva Cafe davanti ad un cappuccino. Scusi, ma il tè mi fa proprio schifo.- chiudo l'armadietto e me ne vado.

Non mi importa se non era la risposta che si aspettava. Non mi importa se l'ho deluso, tanto io deludo tutti. Meglio per lui se stiamo lontani, è meglio per qualsiasi persona se mi sta lontana.

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