CAPITOLO I

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Respiro.
Apro gli occhi, mi guardo intorno.
Sono vivo.

Non so decidere se sia una cosa positiva o no.
A volte vorrei non svegliarmi affatto.

Steso sul mio letto, mi ritrovo a fissare il soffitto. Bianco.

Non passerà molto prima che loro tornino a consumare la mia mente, come ogni mattina, di ogni giorno, di ogni anno da che ne ho memoria.

Guardo la mia sveglia sul comodino al lato del letto. Segna le 7:15 e così , amaramente, decido di prepararmi per un'altra giornata di scuola.

Il tragitto da casa mia a quel luogo di tortura chiamato comunemente Liceo, attraversa quasi la città intera, il che mi permette di ammirare ogni mattino la strada principale, deserta, grigia e fredda, di questo "bellissimo paesino" chiamato Doncaster.

Arrivo davanti ai cancelli 10 minuti in anticipo e decido che non ha senso entrare prima del suono della campana, a meno che non voglia parlare con la vicepreside (cosa che sconsiglio a chiunque), o non voglia dare un mano ai bidelli a pulire i cessi, o non abbia un amico che soffra il freddo quanto me.

Ecco, premettendo che a me il freddo dopotutto piace, il che mi rende una specie di reietto sociale, non è facile trovare qualcun altro che sia disposto a stare fuori dai cancelli al freddo.

E, detto sinceramente, pulire i cessi è un'opzione che non mi alletta un gran ché.

Improvvisamente il telefono che tengo nella tasca dei jeans vibra. Normalmente non mi scrive mai nessuno, per cui penso che sia una cosa importante se qualcuno decide di cagarmi, per una volta. Prendo il telefono.

Penso che se avessi tanti amici come tutte le persone della mia età hanno, e se mi scrivessero SMS, probabilmente non risponderei, solo per il gusto di capire cosa si prova a rifiutare, e non essere rifiutati.

Ma non è così, e il messaggio è da parte di mia madre:

MAMMA:"Hai preso le tue pillole stamattina?"

IO:"No."

MAMMA:" Il Sig. Brown ha detto che devi prenderle."

IO:"Il Sig. Brown è un coglione. "

La nostra conversazione finisce così. Come tutte le altre, da quando mio padre se ne è andato.

Il problema è che è successo 16 anni fa e da lì mia madre non si è più ripresa.

Il che mi fa pensare, che forse non si riprenderà mai.
"Sei stato tu. È colpa tua."

No, non di nuovo.

-Vattene.- dico a voce troppo alta, attirando l'attenzione di due ragazzi vicino a me.

Cerco di restare calmo, situazioni come queste non sono a me nuove, anche se ogni volta è come ricevere un pugno nello stomaco.

Aveva ragione mia madre :dovevo prenderle stamattina.

Mi tremano le gambe e la gola diventa improvvisamente più asciutta del deserto Siriano. È quando inizio a sudare, che decido di entrare a scuola e non pensarci più, cosa che mi richiede più tempo di quanto non mi sia concesso.

Vado al mio armadietto, che ovviamente, con la fortuna che ho, è quello vicino alla porta dei cessi. E non i cessi delle femmine, magari.

Una volta ho conosciuto un tizio che conosceva un tizio che al primo anno aveva l'armadietto accanto al cesso dei maschi e l'anno dopo a quello delle femmine. Ha detto che il secondo è stato il suo anno migliore.

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