Mercoledì 18 giugno 2003. Parte I

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Davide aprì un occhio e poi ne aprì un altro, e poi scattò in piedi in affanno: davanti c'erano cinque persone con sguardi assolutamente poco promettenti.

«Finalmente ti sei svegliato, stronzo».

«No, no, non abbiamo fatto niente, ci siamo solo addormentati qui sulle sedie!» si affrettò a dire, ed in effetti la parte senziente del suo cervello aveva registrato solo quella cosa di tutte quelle che erano successe la sera prima.

Poi si guardò intorno: la devastazione regnava in quel povero stabilimento balneare che aveva avuto, come unica colpa, quella di essere il più vicino all'ultimo bar che Davide, Ivan e Alby avevano visitato la sera prima. C'erano almeno una ventina di sedie rovesciate, alcune direttamente nelle aiuole fiorite, mentre in fondo, verso la spiaggia, si vedevano altrettanti (se non di più) lettini rovesciati e fuori posto. Gli ombrelloni, ancorati con vite e bullone al paletto, si erano salvati ma uno, che era stato forzato a lungo, se ne stava storto come un pino dopo una tempesta.

Dappertutto sabbia, esattamente la stessa che loro tre avevano: Davide ed Ivan sotto le scarpe, Alby sotto ai piedi nudi.

«È che ieri sera siamo venuti a fare il bagn-».

«Non ce ne frega un cazzo di cosa siete venuti a fare, ci frega che avete devastato il bagno di nostro padre, avete piegato un ombrellone e avete fatto un casino che ci vorrà un'ora per rimettere a posto!» il tipo guardò Davide e poi gli altri due che riprendevano conoscenza facendo i conti con un feroce mal di testa, «venite da chissà quale merdoso paese lombardo a fare casini qua da noi che lavoriamo tutto il giorno!».

«Si ma ieri ser-».

«Devi stare zitto!» urlò il tizio, mollandogli un ceffone di quelli che si riservano ai bambini di otto anni quando si comportano come quelli di tre, «Non hai voce in capitolo, hai capito?! Adesso tu e i tuoi amichetti venite con me, e io vi guardo mettere tutto a posto! E non andate via finchè non è tutto a posto, chiaro?!».

I tre annuirono, anche Ivan e Alby che non avevano seguito la prima parte, ma il tizio era così perentorio che non avevano intenzione di controbattere.

«Poi, quando abbiamo finito, tornate in albergo e smammate subito, tornate al paese vostro e sappiate che non scherzo, perché le vostre tre facce da culo sono su questi documenti» aveva alzato le tre carte d'identità, «che vi siete fatti fottere come tre coglioni, e che hanno lasciato assieme ai vostri portafogli vuoti lì».

Il tipo indicò la vetrata che dava sulla spiaggia, che loro, la sera prima, accecati dalla rabbia, non avevano nemmeno guardato.

«Non provate a fare scherzi, ho le foto, ho le foto dei vostri documenti, ho le foto di voi che dormite dentro la nostra proprietà. Quindi adesso pulite il casino e poi ve ne tornate nella vostra cazzo di padania. Chiaro?».

E in quel momento, direi miseramente, finì l'avventura in Riviera di Davide, Ivan e Alby.

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La Mory aveva finito da pochi minuti la babydance, stava grondando di sudore nonostante l'aria fosse più respirabile dei giorni precedenti alla pioggia. Affianco a lei, la Mona si rigirava in mano un thè freddo e continuava a ridacchiare parlando della sera prima e della figuraccia che avevano fatto, che se solo l'avesse saputo sua madre l'avrebbe chiusa in monastero.

«Te Mory non ti immagini quella come va fuori di testa se sa una storia come quella di ieri sera. Mi manda a fare la monaca di Monza».

«Perchè sei una ubriacona da Gran Premio!».

«Ma piantala và che ti eri messa con uno che si cala le paste».

«Non mi sono mai messa veramente con lui, e poi mica si calava le paste!».

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