Una punta d'inchiostro

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Ho fermato la tua immagine su quelle scale che portavano alla piazzetta del sole, così come la chiamavi tu, là dove amavamo dissipare il tempo, raccontarci le nostre disavventure e i nostri segreti.

Tu ne avevi tanti, troppi, che mi dovevo mordere la lingua per non dare giudizi affrettati che avrebbero potuto ferirti.

Mi rendevo conto che vivevi in un mondo non reale e spesso inquietante, nascosto dietro il sorriso di una ragazza timida e gentile. 

Odiavi tutto di te stessa, essere imperfetto, odiavi le dita delle tue mani, la forma delle tue gambe.

Eppure non ti bastava essere giovane e bella, piena di sogni, di speranze.

Quei litigi con tua madre, quei ragazzi a scuola che ti avevano preso di mira dopo le tue foto pubblicate da quella che consideravi amica, ti avevano messo al centro del mirino.

Era l'alba che animava la speranza mentre sorgeva oltre un macigno di polvere.

Ruggine sulle tue ciglia, la ignoravo.

Non avevi alibi, avevi solo la morte seduta accanto a tavola, seduta a terra mentre ti guardava fare la doccia.

Lo sapevo che ti guardava con occhi provocanti, lo sapevo che ti accarezzava il collo mentre ti sussurrava amorevoli parole all'orecchio.

Non ho ancora la pazienza di disinnescare sguardi spettrali, so solo che la morte ha un fascino arrogante. 

Sembra dire io sono ovunque, io sono l'anima di queste pareti, l'aria che soffia sulle candele, che fa sbattere le porte, che porta le onde a riva.

E tu lo distingueresti l'urlo di una farfalla tra il ronzio inquietante dei calabroni?

Lo capiresti se non reggesse più il peso delle sue ali?

Se la vedresti lanciarsi come un proiettile nella natura selvaggia e buia? 

Te lo dico io.

No. 

Mi si arrossano le guance, mi gela il sangue. 

Mille chiodi Conficcati nelle gambe, brividi lungo la schiena. 

Deve essere così che ti sentivi, una punta di inchiostro in una pozza di sangue.

Come ho fatto a non accorgermene?

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