35 giorni al giorno zero

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Era un giorno di metà luglio quando tutto ebbe inizio.

Sfrecciavamo in autostrada con in radio 'Paint it black' dei Rolling Stones con accanto quello che ritenevi l'uomo della tua vita, io, semplicemente Daniel.

Dicevi che ero forte, una grande scoperta, sempre con la risposta pronta e pronto a mettere il cuore in tutto quello che faceva.
Cantavamo come si fa quando si è sotto la doccia, con la consapevolezza che nessuno ci avrebbe sentiti, e ridevamo, giocavamo tra di noi, in viaggio verso la Liguria per un weekend di svago.

Avevo appena preso la patente e la mia nuova auto era una figata, un'audi A1 di un rosso magenta con i sedili in pelle.
Tu mi raccontavi la tua prima settimana di lavoro fuori sede, i nuovi colleghi sembravano simpatici ma c'era qualcuno che già non ti piaceva molto.
Stavo ad ascoltare e mi prendevo bene nel darti consigli su come affrontare le varie situazioni.
Arrivati a destinazione raggiungemmo l'hotel e portammo le valige in camera.
Nemmeno il tempo di sederci andammo in doccia insieme, era stato un lungo viaggio.
Tra una risata e l'altra ci ritrovammo sul letto nudi uno sopra l'altra e iniziammo a baciarci, a strusciarci.
Tra un sospiro e l'altro non so che mi prese, mi sentivo strano, prepotente e con una forta voglia di darti qualche schiaffo in faccia.

Inizialmente pensai fosse un momento di eccitazione, finché ti ritrovasti sotto di me con le mani strette al collo così forte che non riuscivi a respirare.

Navigare dentro te, dentro i tuoi mille labirinti e ritrovarti nascosta dietro una siepe che piangi sottovoce.

Stringere i tuoi polsi dentro pugni tesi, baciarti dall'ombelico in su, i tuoi seni, il tuo collo, mentre non smetto di stringerti.

I tuoi sguardi persi, annebbiati, e i miei feroci, con una fame immensa del tuo ventre piatto, delle tue gambe che si attorcigliano alle mie.

Che ribelle.

Viverti per non morire, assaggiare la tua pelle, la tua intimità, darti piacere senza provare piacere, senza sentire niente, mente annebbiata, pugni distesi, ossa frantumate.

- Che hai?

Mi fermasti d'impulso, io non volevo smettere.

Ti strinsi i polsi ancora più forte.

Aumentai l'intensità, volevo soccombere il mondo attorno in cui al centro facevamo l'amore.

- Fermati Daniel!
Iniziasti ad agitarti, urlare, ma lui, Gabriele non mollava la presa.
Fuori passò un cliente dell'Hotel che sentendo le urla drammatiche iniziò a sbattere la porta e a chiedere aiuto.
Dopo qualche minuto ritornai in me e fu come se mi svegliai da un sogno, vista la scena in cui ero coinvolto mi alzai dal letto e mi allontanai sconvolto.

Tu mi guardasti tremante e con ancora il collo rosso con i segni delle dita.

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