Shoto Todoroki era bravo a dissolversi. Non esteriormente parlando, perché il suo aspetto e le sue qualità non passavano facilmente inosservate, ma dal punto di vista interiore, dei sentimenti.
Non avrebbe saputo spiegarlo a parole. Con quelle, invece, non se la cavava. Sapeva solo che stava accadendo anche in quel momento.
Avvolto in un accappatoio dopo la solita doccia mattutina, si stava fissando allo specchio da dieci minuti buoni, senza un particolare motivo. Osservava le gocce cadere dai capelli bagnati e precipitare nel lavandino, i lineamenti duri del viso, gli occhi eterocromi, uno grigio e l'altro azzurro, restituirgli uno sguardo affilato. Si era talmente estraniato che non poteva più dire con certezza chi vedeva riflesso nello specchio, se un essere umano o solo un involucro di carne e ossa privo di emozioni.
Ancora assente, riprese la routine per prepararsi per la scuola. Asciugò e pettinò i capelli, dividendoli con precisione a metà. Applicò la crema apposita sulla cicatrice che gli contornava l'occhio sinistro e che mai sarebbe guarita del tutto. Dal bagno personale si spostò in camera, dove si vestì e prese lo zaino, e poi al piano inferiore.
Vide la sorella nel salone, che riponeva alcuni libri nella sua borsa. L'altro fratello maggiore, Natsuo, invece doveva già essere uscito per andare all'università. Decise di non disturbarla, afferrò il parka e una copia delle chiavi e si diresse all'ingresso.
«Ehi, buongiorno».
Shoto si bloccò al saluto di Fuyumi, che si accorse di lui solo quando aprì la porta di casa, silenzioso com'era sempre.
«Vai a scuola?»
«Mmh».
«È un po' tardi, se vuoi ti do un passaggio in macchina».
«Mmh».
Fuyumi gli sorrise come una bambina il giorno di Natale. Non passavano molto tempo insieme e ne soffriva, perciò considerava quelle rare occasioni una specie di miracolo. Era quella che teneva di più all'unione della loro famiglia, ridotta in mille pezzi dal padre anni prima.
Una volta in auto, dopo aver tentato una conversazione generica sui programmi della sua giornata, non stressò il fratello con altre domande e permise che passasse il viaggio come piaceva a lui: senza parlare, con la musica al minimo e i rumori del traffico che giungevano ovattati, guardando annoiato fuori dal finestrino.
Shoto si fece lasciare a una decina di metri dalla scuola, per non rinunciare del tutto alla sua passeggiata. Solitamente ci andava a piedi, anche se la sua famiglia aveva un autista personale. La maggior parte dei giorni era impegnato a scarrozzare in giro suo padre, influente politico, e in ogni caso preferiva rifiutare i suoi servigi per non farsi notare ulteriormente.
Osservò l'auto della sorella sgommare via, verso la scuola elementare dall'altra parte della città dove insegnava, poi si incamminò e si immerse nella folla sempre più folta di studenti che entrava nell'istituto.
In situazioni come quelle, se ignorava i mormorii e pettegolezzi che accompagnavano sempre il suo passaggio, riusciva a sentirsi un ragazzo come gli altri e a svanire. La sua personalità si perdeva in mezzo a tutte le altre. In classe era la stessa cosa. Ascoltava le lezioni, eseguiva compiti e verifiche in religioso silenzio, non interveniva o si faceva sentire se non quando era strettamente necessario.
Questo intendeva con dissolversi: i suoi sentimenti pressoché inesistenti, i problemi familiari, le attese e pressioni che gli venivano riversate addosso da quello stronzo di suo padre non contavano; i suoi drammi si confondevano con quelli di tutte le altre persone fino a scomparire e non toccarlo più.
«Buongiorno Shoto!» lo accolse Izuku, caloroso come sempre, quando raggiunse la classe.
«Mmh». Ricambiò con un cenno e gli fu creato un po' di spazio nel cerchio improvvisato davanti ad essa da lui, Tenya, Ochako e Tsuyu.
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𝙢𝙮 𝙞𝙩𝙖𝙡𝙞𝙖𝙣 𝙖𝙘𝙖𝙙𝙚𝙢𝙞𝙖 ❘ a mha story
FanfictionE se esistesse un universo alternativo in cui i personaggi di My Hero Academia sono normali adolescenti? O dove come studenti di un liceo classico italiano sono alle prese con problemi scolastici, disastri di dimensioni all'incirca apocalittiche e d...