0.2│Come gli artisti maledetti

468 41 54
                                    

Se fosse esistito un premio per i migliori bugiardi al mondo, Kyoka Jiro si sarebbe autoincoronata a mani basse.

Da anni, o forse da tutta la vita, la sua esistenza si basava sulle menzogne. Ma che importava? Non era mai stata una di quelle persone che sono sempre sincere o che credono finiranno in paradiso o nell'inferno. Ammesso che esistesse, ci sarebbe andata anche subito, all'inferno, tanto la vita reale non era molto diversa. Quindi, che importava se mentiva in continuazione?

A questo pensava mentre, appoggiata di schiena al palo della luce sul tetto della scuola, si godeva la terza sigaretta della giornata. Osservò il fumo chiaro uscire dalle sue labbra e levarsi in aria, in contrasto con il cielo plumbeo di quel sabato mattina come tanti. Chiuse gli occhi. La brezza fresca contro il viso, la sensazione di rilassamento indotta dalla nicotina, le chiacchiere idiote di Denki e Hanta in sottofondo.

La magia finì in fretta. Buttò la sigaretta terminata a terra e la spense calpestandola con uno dei suoi anfibi rigorosamente neri lucidi, con la zeppa e le borchie.

Si sedette accanto a Denki. Ne voleva ancora. No, ne aveva bisogno. Volere e necessità erano due cose diverse, lo aveva sperimentato a sufficienza sulla propria pelle.

«Ehi!» protestò l'amico quando si sentì sottrarre la sigaretta dalle dita.
Troppo tardi. In un istante se ne impadronì e fece due tiri abbondanti, per poi riporgliela tra le labbra.
«E con questa, siamo a due pacchetti e sei sigarette che mi devi» le fece notare «Praticamente quaranta».

«Cinquanta, bro» lo corresse Hanta. Il biondo non era mai stato bravo nei calcoli. «Ogni pacchetto ne ha venti, venti per due fa quaranta, più sei quarantasei, quindi per approssimazione è più vicino a cinquanta che a quaranta» spiegò pazientemente. «Che poi abbiamo perso il conto di quante tra queste ci ha prestato Bakubro».

«In fondo lo sa anche lui che non gliele restituiremo mai» ridacchiò Denki «Specie se una certa piccoletta continua con questi ritmi da fumatrice incallita».

Kyoka ringhiò infastidita e sfuggì al braccio dell'amico che nel frattempo l'aveva avvolta per le spalle.

Non era stupida. Almeno di certo non più di Denki. Ci era arrivata anche lei che non poteva continuare così, che non faceva bene alla sua salute e altre cose da moralisti che parlano senza sapere, ma non ci poteva fare niente, ormai era dipendente da quella roba. Prima il cibo, adesso quella merda: il suo corpo non sembrava riuscire a vivere senza sviluppare una dipendenza da qualcosa. Anzi, era la sua mente, più che il suo corpo e i suoi capricci, il vero problema alla base, e quella non si curava facilmente.

«Ha ragione, sis. Stai fumando come un turco ultimamente. Che poi, perché proprio i turchi?» aveva ripreso intanto Hanta, con il modo tutto suo di intercalare.

E quel cretino di Denki lo assecondava. «Bella domanda. Io ho un amico turco. È simpatico. E non fuma. Quindi non so perché si dice così».

«Che poi, allora un turco fuma come un italiano?»

Li squadrò scettica. Non avrebbe mai smesso di stupirsi dell'assurda serietà con cui conducevano quei discorsi ai livelli dei bambini dell'asilo. Ed erano sobri. Magari esisteva un premio anche per quello.

Lasciò che continuassero quella conversazione dalla dubbia sensatezza senza che si curassero di lei. Si spostò e sedette sul cornicione del tetto, esattamente dove esso curvava in un angolo. Infilò le gambe esili tra le maglie della rete metallica e le dondolò nel vuoto per un po', senza un motivo preciso, guardando distratta le macchine e i mezzi pubblici che giravano giù per le strade.

Poi si alzò e scostò la rete nel punto in cui chissà chi l'aveva rotta anni prima e non era mai stata riparata. Se ne stette lì, aiutandosi con le braccia a tenere i due pezzi di rete separati abbastanza da permettere al suo minuto corpo di starci in mezzo, sporgendosi leggermente in avanti e fissando un punto indefinito sotto di sé.

𝙢𝙮 𝙞𝙩𝙖𝙡𝙞𝙖𝙣 𝙖𝙘𝙖𝙙𝙚𝙢𝙞𝙖 ❘ a mha storyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora