Capitolo 13- Il compleanno di K

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Jay

«Contenta tu Oph» pronuncio atono.

Da quando io ed Eva ci siamo avvicinati, non riesco a pensare a nient'altro che a lei. Ho preso così tanto a cuore la sua situazione che, vederla privata di ogni linfa vitale, accanto a uno stronzo inutile come Luke, mi disturba a tal punto da non riuscire a frenarmi dall'esprimere le mie opinioni. Potrà sembrare che io mi intrometta, e forse effettivamente è davvero così, ma non posso rimane in silenzio mentre lei viene prosciugata.

So bene di non essere l'uomo per lei. Entrambi ci portiamo addosso troppa sofferenza che ci ha compromessi dall'interno e, infatti, è proprio il nostro essere rotti a rendere ovvio anche a un cieco che tra noi non potrebbe mai funzionare.

Eppure, in qualche modo, sento questo bisogno viscerale di proteggerla e di evitare che il mondo possa farle ancora del male.

Il mio discorso sulla danza macabra che lei e Jefferson stanno portando avanti, ormai da troppo tempo, non ha prodotto i risultati sperati. Mi sarebbe piaciuto, egoisticamente parlando, sapere che lei e Luke, a causa degli eventi della sera precedente, avessero finalmente rotto. Anche se era palese, persino a me stesso, che io mi stessi ingannando, visto che quando li avevo incontrati non mi erano sembrati una coppia in crisi, anzi, a dir la verità, avevo letto persino eccitazione nei loro occhi.

«La smetti di stringere i bordi di quel tavolo, rischi di farti male» la sua voce spazza via i miei pensieri. La guardo mentre con la mano sinistra porta dietro l'orecchio una ciocca dei suoi capelli rossi, ricaduti dall'acconciatura disordinata con la quale li ha legati. Mi sorride debolmente, continuando a giocare con una bustina di zucchero vuota lasciata sul tavolino da Matt.

«Perché mi fissi?» sbuffa, sbattendo i suoi inconfondibili occhioni verdi.

Mi aggiusto il ciuffo, prendendo tempo. Credo sia giusto a questo punto tentare un approccio diverso rispetto a quello avuto in precedenza «Come potrei non guardarti, sei bellissima Oph» deglutisco rumorosamente, come se dirlo mi fosse costato fin troppo.

«Sei un cretino» ride, facendo formare due bellissime fossette sul suo viso.

Sentirla parlare nella sua lingua mi provoca un brivido lungo la schiena. Ho sempre avuto un debole per le italiane. Probabilmente Freud avrebbe amato studiare il mio caso, visto che anche mia madre viene proprio dalla stessa Penisola. Peccato che io, più che amarla segretamente, la odi con tutto me stesso.

«Terra chiama Jay» sventola una mano davanti alla mia faccia «che ti prende? Sono dieci minuti buoni che non connetti più».

«Non riesco a smettere di pensare a te» sfodero tutto il mio fascino, sebbene io sia il più delle volte ironico. Se lei non capisce da sola quanto Jefferson sia idiota, forse è il caso che io mi imponga, mostrandole come dovrebbe comportarsi un uomo con una donna.

Mi colpisce con un pugnetto sul petto. 

Neanche un bambino di due mesi potrebbe arrecare meno dolore con un gesto simile.

La strana situazione creatasi tra di noi viene interrotta dal suono del suo cellulare.

Guardo lo schermo su cui compare una foto di Luke con una faccia buffa e la scritta L❤️.

«Amore» sussurra, come se io non potessi sentire cosa dice a cinque centimetri di distanza da lei.

Continua annuendo e pronunciando qualche intervallato a dei va bene.

Quando chiude la telefonata, volge il capo verso di me «Devo andare, sta arrivando. Stasera ci sei per il compleanno di Kate?» un impercettibile sorriso le illumina il volto. 

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