Capitolo 15- Ora del decesso: 1.17

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Sono su una ruota panoramica.

Sto guardando il paesaggio circostante dal vetro leggermente appannato.

Vedo chiaramente davanti a me il Colosseo, la cupola di San Pietro e la Fontana di Trevi: tutto raggruppato nella stessa piazza. 

Mi sembra di essere davanti a una delle incisioni di Piranesi.

A un certo punto, la giostra si ferma.

L'arresto è accompagnato da un forte cigolio.

Il portellone della mia cabina si apre, con una folata di vento improvvisa.

Una scala a pioli in corda si srotola davanti ai miei occhi.

È il mio segnale.

Mi alzo con le gambe tremanti, ma ormai, so già cosa mi aspetta.

Appena appoggio entrambi i piedi sui gradini, la scala prende interamente fuoco, riducendosi in pochi secondi in cenere.

A questo punto, non posso far altro che precipitare.

Cado con la testa rivolta verso il basso.

L'ultima cosa che vedo è il colonnato del Bernini.

Apro gli occhi.

Mi giro su un fianco, respirando a fatica. La prima cosa che scorgo accanto a me è un braccio penzolante fuori dal letto di Kate. Le dita della mano sono appoggiate direttamente sul pavimento. Non si tratta sicuramente, visto il suo aspetto, di un arto della mia compagna di stanza.

«Ma che cazzo?!» l'ospite di Kate impreca.

Mi stropiccio gli occhi, riuscendo finalmente a mettere a  fuoco la persona che stava dormendo in quella particolare posizione.

Steve.

«Shhh, stai zitto» Kate lo ammonisce, dandogli uno schiaffo sul petto.

«Buongiorno» pronuncio a fatica.

«Buongiorno, un cazzo» ribatte lui, visibilmente infastidito.

«Ti consiglio di chiudere la bocca se vuoi dormire ancora qui, lamentati un'altra volta per gli incubi di Eva e ti prometto che non uscirai vivo da questa stanza» gli intima la biondina.

Lui si sposta leggermente, portando la testa sotto il cuscino e grugnendo qualcosa di cui non capisco il senso.

Mi alzo dal letto, stropicciandomi gli occhi e mi dirigo alla scrivania per prendere il mio cellulare. Sbloccandolo noto con piacere che sono le 11.33 di un meraviglioso sabato mattina. Il sole splende al di là delle tende oscuranti della nostra camera. Stranamente, anche dopo l'incubo, mi sento tranquilla, in pace, forse questa giornata mi sorprenderà...

Compongo a memoria il numero di Luke.

Al terzo squillo, mi risponde.

«Perché mi chiami di sabato mattina così presto?» accompagna le sue parole con un enorme sbadiglio.

«Volevo chiederti di fare colazione, anzi, ormai direi quasi pranzo insieme».

«Ho poco tempo oggi, ricordati che siamo in trasferta alla UCLA, che ne dici se, prima che il pullman parta, ci vediamo in caffetteria?» si rigira rumorosamente nel letto, continuando a sbadigliare.

«Ok» gli rispondo con la voce carica di entusiasmo.

***

Dopo la doccia, ho indossato, il più in fretta possibile, i primi indumenti trovati alla rinfusa nel mio armadio. Sono sicuramente nel periodo del disordine cronico. Infatti, mi risulta difficile anche soltanto camminare nella mia parte di camera senza inciampare su qualche scarpa, libro o vestito lasciato sul pavimento. 

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