Capitolo 45 - In frantumi

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Jay

«L'ho fatto solo per te Jay» sussurra quelle parole a un centimetro dal mio volto. 

Non lo vedo, eppure lo sento.

«Dove sei?» gli domando, seguendo l'eco della sua voce.

«Ovunque» un milione di suoni diversi si librano nell'aria come fossero libellule. Uomini, donne, bambini. Timbri e intensità diverse. È in ognuno di loro. È persino nella voce di mia madre, in quella di mio padre, di JJ, di Mora e dei miei nonni. È nel volto e nell'anima di Eva. È dentro di me, sopra di me e con me. Sempre.

Mi sveglio di soprassalto sudato, con i capelli incollati alla fronte, la bocca secca, i polmoni che cercano aria e il cuore che martella nel petto.

Afferro d'istinto il mio cellulare e, cercando di non fare rumore, mi sposto in bagno. Controllo i messaggi ricevuti, aspettandomi di trovare non so nemmeno cosa precisamente. Ne ho un bel po' di non letti da quando io ed Eva stiamo vivendo una versione particolare della nostra luna di miele, tuttavia nessun sms risulta degno di nota.

Mi siedo sul water, cercando di riprendere aria. Dalla porta aperta guardo Eva dormire, è così serena che mi sembra impossibile che per una notte sia io, tra i due, quello ad avere gli incubi. Malgrado i minuti scorrano, l'ansia che provo non sembra volermi abbandonare. Non è il mio sogno ad avermi scosso così tanto, non è la prima volta che mi capita di risentire la sua voce, è più qualcosa che proviene dall'interno, una sensazione.

Ho l'impressione di essere di fronte all'oceano che si ritira progressivamente davanti ai miei occhi. Lo tsunami sta per arrivare, lo so. Eppure non riesco a fuggire via, resto attonito con i piedi sulla sabbia a guardare l'onda pronta a inghiottirmi.

Decido di prendere un po' d'aria, perciò scelgo di salire nel posto più indicato: il tetto. Il luogo che tante volte mi ha ospitato nei momenti peggiori della mia vita vissuti qui alla Usc. Non nego che a volte ho desiderato di saltare giù, sperando di lenire questo senso di colpa che mi porto nel cuore, alla fine però non sono mai riuscito a farlo davvero.
Come Sisifo sono costretto a portare un masso su per una collina per l'eternità. Che punizione sarebbe se lui si lasciasse schiacciare e cessasse di vivere? Troppo semplice.

La soffitta puzza di muffa e polvere stantia, anche di sospensori mai lavati in effetti. Diversi oggetti coprono un'intera parete; perciò, sono costretto a spostare qualche scatolone per liberare la finestra di accesso al tetto. Esco all'esterno reggendomi al davanzale e sedendomi sulle tegole fredde. Forse avrei dovuto portare con me una giacca, ma l'impulso non mi ha dato il tempo di pensare.

Apro il pacchetto di Marlboro gold e accendo una sigaretta guardando il cielo illuminato dai primi raggi di sole. Tra poco sarà l'alba, si muore di freddo e a me non importa.

Inspiro ed espiro lentamente, fin quando una calma apparente non mi fa chiudere gli occhi.

«Ecco dov'eri! Ma sei pazzo! Ti sei addormentato sul tetto a gennaio?» Eva resta all'interno, sgridandomi da dietro. Per poco non mi sono lanciato giù per lo spavento.

«Cazzo Oph, mi hai fatto morire».

«Tu mi hai fatto spaventare, cretino! Ti ho cercato ovunque, se non fosse stato per JJ non ci avrei mai pensato a questo posto» continua a urlare con una voce squillante non adatta alle orecchie di una persona che fino a qualche secondo fa stava dormendo.

Mi colpisce con uno schiaffo sul braccio «e adesso devi pure farmi scendere tu! Posso anche aver avuto il coraggio di salire, ma di scendere non se ne parla».

«Mi sono svegliato con un'ansia tremenda e avevo bisogno di rilassarmi... scusami, soprattutto per averti fatto salire fin qui, so quanto deve esserti costato. Anche per quello che è successo su questo tet-».

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