Capitolo 28 - «Vuoto riempito»

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«Ciò che il desiderio vuol essere è un vuoto riempito, 

ma che dà la forma a ciò che lo riempie,

come uno stampo dà forma al bronzo che gli cola dentro».

J. P. Sartre, L'essere e il nulla.

🔞


Per la strada sfioro qualcosa come una trentina di incidenti. Non sono abituata a guidare in zone come queste, infatti, da quando sono negli USA, il massimo spostamento che ho fatto in auto è stato quello dai dormitori alla confraternita, non sono mai andata oltre.

Alla fine, piuttosto inaspettatamente, sono giunta sana e salva davanti al Porter.

L'insegna luminosa è mezza fulminata e ciò che si legge è soltanto Poer.

L'auto di Jay è parcheggiata proprio davanti all'ingresso. Sono certa che sia proprio la sua, perché nessun uomo sano di mente porterebbe una Porsche in questo quartiere. 

In realtà, mi sorprende che lui abbia scelto come luogo proprio questo, con tutti i soldi che ha potrebbe bere i migliori liquori della California e invece viene qui, in questo posto che, almeno dall'esterno, mi dà l'idea idea che la bevanda più buona che vi si possa trovare sia la Vodka Keglevich alla pesca.

Entro un po' titubante, attirando gli sguardi di tutti i presenti a causa del cigolio fastidioso della porta d'ingresso. Un gruppo di ragazzi intenti a giocare a biliardo si ferma per osservarmi. Menomale che indosso soltanto un vestito semplice a fiori, un cardigan e le converse; non oso immaginare come si sia sentita Beth, con i suoi outfit esagerati, a venire a recuperarlo qui più di una volta.

Mi avvicino al bancone, cercandolo disperatamente con lo sguardo, ma di lui nessuna traccia. Decido a questo punto di chiedere al barista, con la speranza che lui sappia dirmi di più.

«Mi scusi, per caso sa dov'è Jay Cook?» gli domando con voce rauca, cercando di schiarirmela il più possibile per farmi udire meglio, visto il volume della musica.

«Cazzo, chissà perché ogni volta che Jay è qui compare qualche bella signorina che lo cerca» sogghigna, mostrandomi la dentatura ingiallita alla quale manca anche qualche dente.

«Comunque tesoro è nell'altra parte del locale, nell'area fumatori» mi indica una porta rossa e io, senza rifletterci, la oltrepasso immediatamente.

L'aria è pesante, la stanza è completamente piena di fumo e c'è molta meno gente. 

Finalmente scorgo Jay a testa china su un tavolino. Mi avvicino a lui lentamente, cercando di pensare a cosa dirgli. In effetti, sono partita così velocemente alla sua ricerca, da non aver neanche riflettuto su cosa gli avrei detto una volta trovato.

Davanti a lui c'è uno shottino ancora pieno fino all'orlo. Tiene entrambe le mani intorno alla testa e il volto schiacciato sulla superficie sporca. Nella mano destra stringe una sigaretta quasi del tutto consumata. Il filtro sta praticamente ancora bruciando tra le sue mani, ma a lui non sembra importare.

«Ehi» mi siedo accanto a lui su uno dei sudici sgabelli del bar.

«Come mi hai trovato?» risponde senza alzare il volto, rimanendo nella stessa posizione.

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