05.Provaci

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Infilo gli occhiali da sole cercando di nascondere le mie occhiate post-sbornia, e saluto Pietro con un ultimo bacio dietro al muro della scuola prima di girare i tacchi ed uscire nel parcheggio alla ricerca di Ethan.

Mi dispiace prendere in giro quell'angioletto, ma stamattina non ce l'avrei proprio fatta a seguire le lezioni e la mia presenza sarebbe stata più dannosa di un'assenza.

So già che se glielo dicessi comincerebbe a fare il tragico e a trattarmi come se fossi una fuori di testa criminale incosciente, quindi una piccola bugia bianca non sarà poi un grande problema.

Faccio vagare lo sguardo per tutte le auto parcheggiate e noto con stupore che quella di mio fratello non è presente.
Estraggo il telefono per vedere se mi ha mandato qualche messaggio, non è da lui mancare agli appuntamenti senza avvisare.

Proprio mentre apro la sua chat priva di nuove notifiche sobbalzo per il suono di un clacson che fa saltare dallo spavento tutti gli studenti che stanno uscendo dalla scuola.
Alzo lo sguardo ancora agitata, e in mezzo al parcheggio c'è proprio lui.

Damiano sulla sua polo nera, con la portiera aperta e il corpo fuori per metà.
Non appena si assicura che io l'abbia visto torna dentro l'auto con una sigaretta tra le labbra, e io mi chiedo cosa diavolo faccia qui.

Sbuffo e mi avvio a passo svelto verso la sua macchina, sotto gli sguardi sbigottiti dei ragazzi intorno a me che mi mettono particolarmente in imbarazzo.

Apro la portiera e mi butto dentro sfuggendo alle occhiate curiose dei miei compagni di classe, che probabilmente si chiedono cosa ci faccia qui visto che oggi non ero a scuola.

«Ciao»

Saluto non appena raggiungo il sedile, guardando Damiano solo di sfuggita perché la sua presenza un po' mi imbarazza.
Chissà perché Ethan ha mandato lui.

Quando noto che non accenna a rispondere al mio saluto né tantomeno a mettere in moto torno a rivolgergli la mia attenzione, e lo trovo intento a guardarmi con un sopracciglio alzato e le mani sul volante.

«Che c'è?»

«'ndo sei stata?»

«Eh? A scuola, non è ovvio?»

Chiedo facendo la finta tonta, perché sicuramente non è un'insinuazione e io mi sto sentendo accusata solo perché so di stargli nascondendo qualcosa.

«Ah se?»

Mi provoca nuovamente, sfoggiando un sorrisetto beffardo che la dice lunga su ciò che pensa.

«Certo. E adesso partiamo che ho fame»

«Fino a prova contraria te nun decidi un cazzo, bambina, e adesso dimmi dove sei stata»

Mi parla come se fosse mio padre, ha un tono di netta superiorità e si comporta come se io dovessi in qualche modo sottostare alla sua autorità.

«Fino a prova contraria sei tu che vivi in casa mi, quindi decido eccome»

Ribatto velenosa, guardandolo dritto negli occhi e incrociando le braccia al petto.

«Pensi davvero che questo ti dia qualche potere nei miei confronti?»

«Posso sbatterti fuori casa quando voglio»

Continuo sulla mia linea, riducendo gli occhi a due fessure e guardando il moro con fare di sfida.
Lui si avvicina a me fino a farmi smettere di respirare, ad una manciata di centimetri dal mio viso con la sua solita espressione derisoria.

«Provaci»

Mi provoca, per nulla spaventato, e purtroppo io sono troppo scossa da quella vicinanza che ho sempre solo potuto sognare per rispondergli a tono come dovrei.
Senza scomporsi neanche per un secondo allora lui si allontana e sfoggia un sorrisetto strafottente, passandosi la lingua sui denti e tornando dritto al suo posto.

«Quer coglione di Ethan mi ha detto che uscivi alle 13 quindi sono qui da dieci minuti. Te ho vista dietro lì con quello sfigato»

Spiega mentre mette in moto, con voce monocorde e quasi annoiata.

«Siamo usciti pri...»

«Me spieghi chi cazzo te pensi de fregà? Con Ethan ce riesci forse, ma io 'ste cose le ho fatte molto prima di te»

«Non so di cosa parli»

«So' più le mattine in cui ho saltato scuola per scopare e fumare che quelle in cui ho seguito le lezioni, ma almeno a me nun me hanno mai beccato»

Non mi guarda di striscio, sta attento alla strada e mi dice le cose quasi con disinteresse, come se infondo sapesse che tutto questo non lo riguarda.

Da dove ti viene questa superiorità, Damiano?
Perché mi continui a trattare come se fossi una bambina da educare, se alla fine hai solo tre stupidi anni in più di me?

«Se le hai fatte anche tu perché mi rompi le palle allora?»

Gli chiedo sbottando, stanca della sua paternale non necessaria. Evito di mandarlo a quel paese solo perché vorrei che evitasse di dire ad Ethan ciò che è successo, con lui proprio non potrei scamparla.

«Perché se ci ripenso adesso avrei voluto che qualcuno le rompesse a me»

Risponde semplicemente, scorrendo repentinamente con lo sguardo dalla strada alla mia figura, come se volesse assicurarsi che abbia capito ciò che intende.

«Non fare cazzate con la scuola. Con tutto il resto sì, ma non con questo. Nun ne vale la pena credimi»

Sbatto le palpebre lentamente un paio di volte, stupita dal tono serio che ha assunto la sua voce.
Non mi sta più provocando, non mi sta prendendo in giro e non mi sta neanche accusando.
È solo un consiglio, e dal pentimento che leggo nei suoi occhi credo che forse dovrei seguirlo.

«Per te non ne è valsa la pena?»

Chiedo stupita, perché da quanto mi ricordo lui ha lasciato le superiori a metà per andare a lavorare a Londra, e sembrava felice di farlo.

«No, neanche un po'»

Risponde semplicemente senza andare troppo in profondità, mentre accosta nel vialetto di casa mia.

Parcheggia ma esita ad uscire, come se avesse qualcosa da dirmi.
Non esita, non sta pensando, sta semplicemente aspettando che io sia abbastanza attenta per dirmelo.

«Me ricordo che genietto che eri, già alle medie ce facevi il culo a tutti pure se eravamo più grandi»

Ti ricordi davvero?
Alla fine quindi non ero poi così invisibile, no?

Sbuffo una risata ironica pensando che stia un po' esagerando, anche se mi viene da sorridere a pensare a quante soddisfazioni portavo a casa dalla scuola. È da tanto che non succede.

«Nun te perdere regazzì, nun ne vale la pena pe' sti quattro coglioni con cui esci»

Abbasso lo sguardo per un attimo imbarazzata dal modo diretto in cui mi si è rivolto, infondo siamo poco più di due sconosciuti e io sono grande per questi discorsi.
O forse no, non si è mai grandi abbastanza.

Gli sorrido timidamente non appena ho il coraggio di incontrare nuovamente il suo sguardo, e mi limito ad annuirgli sperando che capisca che ho apprezzato le sue parole.

Dopo una manciata di secondi lui allunga senza preavviso una mano verso i miei occhiali da sole per poi sfilarmeli di dosso senza chiedere il mio consenso.

«Ma che cazzo fai?»

«È maleducazione tenere gli occhiali al chiuso»

Dice semplicemente, poi scende dalla macchina ed entra in casa senza aspettarmi, con i miei occhiali in mano e la sua solita camminata strafottente.

Parole||Damiano DavidDove le storie prendono vita. Scoprilo ora