28.E ora?

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Alla fine quella sigaretta dura quasi un paio d'ore.
Si consuma in cinque minuti, in realtà, ma l'atmosfera è così bella che noi rimaniamo lì.
Stiamo seduti uno accanto all'altro su un muretto che potrebbe crollare per il nostro peso, Damiano mi circonda le spalle con un braccio e ce ne stiamo in silenzio.

C'è una parte di me che trova assurdi questi piccoli momenti insieme che ci ritagliamo ogni tanto, stonano di gran lunga col nostro rapporto fatto al 90% di punzecchiamenti e attrazione.

«Ho una fame»

Mi lagno con lo stomaco che brontola, ormai abituata ai ritmi di Milano in cui mi ero abituata a mangiare come le galline.

«Mi sa che vado a farmi latte e biscotti»

Annuncio, e in risposta Damiano sbuffa.
Mi tiro leggermente in avanti per guardare incuriosita l'espressione del moro, che decide di opporsi alla mia volontà e mi tira nuovamente verso di sé, facendomi sbattere la schiena contro il muro.

«Nun ce andà»

Cerca di smuovermi Damiano sporgendo il labbro inferiore cercando di intenerirmi, e io non riesco a trattenere un sorriso spontaneo.

«Ma ho fame!»

«Puoi aspettà n'ora e cenare, mo' stamo ancora un po' qui che si sta così bene»

Dice non volendo sentire obiezioni, appoggia la testa contro il muro e continua a circondarmi le spalle con un braccio, sfregando delicatamente i polpastrelli sulla mia spalla.
Il cuore un po' mi sfarfalla nel petto, e lo guardo con una luce negli occhi che spero proprio lui non riesca a notare.

Significa che sta bene con me, non sono pazza se ho capito questo, giusto?

Fatto sta che all'improvviso la fame mi passa, sostituita da un nodo alla bocca dello stomaco che mi blocca quasi il respiro.

Basta così poco a farmi sciogliere, mi faccio ridere da sola per quanto possa essere condizionata dalle cose più stupide.
Fino ad un'ora fa odiavo Damiano e mi sentivo trattata come un usa-e-getta, adesso improvvisamente invece sento di contare qualcosa per lui soltanto perché mi chiede di fargli compagnia.

«Ti ricordi quando venivo a casa tua a giocare la play e tu portavi la merenda a me ed Ethan?»

Mi chiede dopo un po' il moro sbuffando una risata, e io mi copro la faccia per l'imbarazzo.

«Non vorrei parlare del mio periodo buio»

«Toast con la marmellata alle ciliegie. Che merda porcoddue»

Continua, ma questa volta io gli tiro un'occhiataccia per il suo insulto alla merenda che gli preparavo con tanta attenzione.

«Ma se li mangiavi sempre!»

Lo accuso invece, e sento il suo petto tremare contro la mia spalla mentre viene scosso da una risata di gusto.

«Perché nun volevo farte rimanè male, me dispiaceva»

«Ma piantala, non fingere di avere un cuore»

Lo prendo in giro tirandogli un pugno sulla spalla, e lui scuote la testa continuando a ridacchiare.

«Pensa che me magnavo anche quello de tuo fratello per far finta che ce piacessero, non volevo deluderti che eri tutta così soddisfatta quando vedevi i piatti vuoti»

Lo osservo per un paio di secondi, stupita, e poi un sorriso spontaneo mi si dipinge sul volto.
Non me l'aspettavo, Damiano era l'ultima persona da cui ci si potesse aspettare un gesto così sensibile, soprattutto quando era piccolo.

Parole||Damiano DavidDove le storie prendono vita. Scoprilo ora