Figli

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 Alle nove e trenta di una domenica  d'autunno Antonio si è presentato alla mia porta. Qualche cosa di tremendo è sicuramente successo. L'ultima volta che mio figlio è venuto a farmi visita, nella versione di uomo solo, senza moglie e figlio, è stato  quando lo hanno licenziato. Questo fatto, poco piacevole, risale a tre barra quattro anni fa. 

Oh mioddio come vola il tempo.

Con l'apprensione disegnata sul volto apro la porta di casa.

- Antonio, quando arrivi da solo, di domenica e senza un minimo di preavviso, non mi aspetto nulla di buono. Cosa è successo questa volta?

 Mi cade subito uno sguardo ansioso sui due pesanti borsoni che mio figlio scarica a terra senza tanti convenevoli. Il volto indurito, le labbra serrate, sono segnali fondati che una tegola è in arrivo e non serve a nulla scansarmi, so già che mi colpirà e non sarà per nulla piacevole. Cerco in qualche modo di mascherare l'inquietudine.

- Tesoro, stai per caso andando in vacanza?

Non so perché ma quando qualche cosa di minaccioso incombe sulla mia testa divento ironica.

- Non sto partendo, tantomeno vado in vacanza.

Mio figlio invece, quando qualche cosa di terribile gli sta piombando addosso non diventa per niente ironico. Anzi. Il suo volto diventa un libro aperto. Un vero artista nel provocare sensi di colpa. Soprattutto a me. Per questo non sono mai davvero contenta di vederlo nella sua peggiore versione. Quella di uomo solo, irritato e con al seguito due valige.

Sposto con i piedi le due ingombranti borse che Antonio ha piazzato giusto in mezzo allo stretto corridoio e mi dirigo in cucina. Mi segue a testa bassa, con le mani chiuse a pugno, la fronte aggrottata. Dalla sua  espressione aggigliata capisco che la cosa è veramente seria. Dico addio al morigerato programma domenicale: dovrò rinunciare al mio atteso appuntamento in libreria.

 I libri sono la mia passione. 

Amo l' odore dell'inchiostro e della carta, entrare in una libreria ma anche in biblioteca  mi riempie di ottimismo e buonumore. Mi sento nel posto giusto. Un'emozione che si rinnova da anni, senza subire il benché minimo deterioramento.

Ci sediamo in cucina, uno di fronte all'altro come due antagonisti.

- Antonio, stavo giusto preparando il caffè, lo vuoi anche tu? Dalla faccia che hai mi sembra tu ne abbia bisogno. Dormito male?

Ho dipanato un groviglio di sensazioni poco rassicuranti.

- Ho lasciato Aurora.

Eccola, la tegola è arrivata e come da pronostico, quando ti piomba in testa, fa parecchio male.

Un leggero fremito gli fa vibrare il labbro inferiore. Conosco bene quel tremore. Da bambino, quando prendeva un brutto voto, me lo comunicava con la voce che gli usciva debole dalle labbra tremolanti.

 Lo guardo cercando sul volto contratto nella smorfia infantile un qualche segno. Una speranza di continuità alla frase lapidaria appena pronunciata.

Tipo: Ho lasciato Aurora ma era solo per farle uno scherzo, a volte esagera con i suoi messaggini.

 Ma nessun'altra parola segue quella specie di verdetto. Antonio tace, lo sguardo fisso, sulla tazzina ancora vuota. Sembra in attesa che gli chieda qualche cosa del genere: Hai pensato bene a quello che stai facendo? 

Non gli chiedo niente. Gli verso il caffè. Lo sorseggia guardandomi con quegli occhi chiari e profondi che sembra il mio sguardo.

- Senti mamma, potrei stare da te per qualche giorno.

IO E L'ALTRADove le storie prendono vita. Scoprilo ora