Filippo

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 Fatico a prendere sonno.

Mi sento disorientata, turbata dalla mia prestazione nottambolesca lontana anni luce dal  moto costante, rassicurante, di condurre le mie giornate e le mie serate. A questa singolare performance è seguita una notte insolita e diversa da tutte quelle che l'hanno preceduta. Un turbinio innaturale di emozioni che ha innalzato  il livello di adrenalina assopita da tempo immemore. 

Una camomilla, un buon libro e, al  massimo alle ventidue, la mia camera sprofonda nel buio nel quale  mi ritrovo, nell'attesa di un sonno che tarda arrivare sotto l'effetto di una marcata agitazione post balera. Inizio a conteggiare con gli occhi sbarrati verso il soffitto candide pecorelle. 
Dicono che, con l'avanzare degli anni, si dorma sempre  meno. Spero sia la fantasiosa testimonianza di un geriatra pazzo. Se poi aggiungiamo le avventure notturne, del tutto fuori ogni previsione logica, arriverò a elencare un nutrito gregge comprensivo di cani, pastori, asini... e ci metto anche qualche oca e un consistente numero di curiosi nottambuli che come me, non riescono a prendere sonno.

Ho l'abitudine di spegnere il cellulare durante le ore dedicate al sonno. Ma, in questa notte atipica provo una specie di smania tutta femminile, di intima inquietudine. Vorrei già risentire la calda voce di Michele, riprendere la nostra breve chiacchierata ma, purtroppo, non sono riuscita a entrare in possesso del suo numero di cellulare: ho dato il mio a lui.
Lui, abilmente o semplicemente per inerzia, spero non per sfiducia, non ha ricambiato. Questo comportamento mi ha portato a ipotizzare possibili cause riducendo, alla fine, a un solo fattore scatenante: non vuole essere disturbato.

Appellandomi alle mie precedenti esperienze, quando un uomo non concede il proprio numero di telefono per non essere disturbato, questo è indicatore piuttosto attendibile della sua possibile situazione personale ergo, è ufficialmente coniugato. L'alternativa più plausibile è che abbia una compagna, o fidanzata, il che non cambia di molto le cose. 

Concludo la diatriba mentale post nottata delirante mentre scivolo nell'incoscienza soporifera con i pastori che mi rincorrono inferociti per avere scatenato il putiferio nel gregge.

 Il segnale di un messaggino in arrivo mi sveglia improvvisamente da un sonno leggero. Con uno scatto che mi sorprende afferro a colpo sicuro il cellulare sul comodino. Un Whatsapp alle cinque del mattino mi mette in allarme. In una manciata di secondi faccio un elenco di tutte le possibili disgrazie in agguato.

Mio figlio ha avuto un incidente.

Il messaggio è di Aurora che mi avvisa che Antonio si trova in ospedale.

In rianimazione.

Ma una notizia simile non si comunica con un messaggio.

Nel caso di mia nuora sì. Lei ha deciso che telefonare non è chic. Invia messaggi per qualsiasi cosa. Quando è morta sua madre me lo ha comunicato via Whatsapp.

Patrizia, questa mattina è morta mia madre.

Naturalmente ho subito avviato una chiamata. Mi sembrava che per fare le condoglianze fosse più indicata una semplice, antica, telefonata.

 Dopo due secondi mi è arrivata la risposta.

Grazie per condoglianze.

Mia nuora è fatta così. Da tempo ho rinunciato a farle capire che ciò che ci contraddistingue dagli animali è l'uso della parola. 

E se invece le avessi telefonato per chiederle come sta mio nipote?

Oddio, è successo qualcosa a Filippo!

È caduto con la moto.

Gli hanno spaccato una gamba mentre giocava a calcio.

Ha lasciato la sua fidanzata.

O la sua fidanzata ha lasciato lui.

Lo hanno sospeso a tempo indeterminato da scuola.

Ciao Patrizia, a quest'ora non so se augurarti buona notte o buon giorno, mi ha fatto piacere conoscerti spero di rivederti presto. Michele.

Le disgrazie ipotizzate non hanno, fortunatamente, trovato riscontro reale. Tiro un sospiro di sollievo. Nulla di tremendo è successo alla mia famiglia. 

Si possono provare ancora antiche emozioni relegate, come vecchie lettere, nella scatola dei ricordi?

 Sì, si può.

Una scarica di battiti cardiaci mi mette in stato di vigile attenzione. Non posso avere un infarto proprio adesso. Dopo cento anni di solitudine. Dopo avere ricevuto un breve testo scritto da un uomo.

Ho idea che se voglio dormire seriamente dovrò ricorrere a una dose doppia di "Dormirem".

Ma prima devo rispondere al messaggio. Anzi no. Non voglio passare per un tipo alla Aurora, quella che risponde ancora prima di leggere il contenuto del messaggio. Ma come fa! 

Prendo venti gocce del blando sonnifero, la camomilla, spengo il cellulare e finalmente vengo avvolta dell'abbraccio divino di Caer Ibormeith. Alle cinque di mattina!

Ho il suo numero di telefono.

Mi addormento con l'illusione di una ragazzina al suo primo batticuore.

Un lungo, lacerante suono mi provoca un ulteriore risveglio. Una notte da incubo da archiviare tra le peggiori dell'ultimo secolo.  Nella totale confusione mentale, dovuta a due barra tre misere ore di sonno, grazie solo al fedele farmaco ipnotico, non riesco a focalizzare la provenienza di questa specie di fischio insopportabile. 

 Ho sprecato una generosa quantità di minuti per riuscire a riconnettermi con qualche dato di fatto: l'ora del giorno, il giorno della settimana, la settimana del mese.

Forse ho un tantino esagerato con il "Dormirem". Cancello il forse. Non riesco a svegliarmi del tutto, sento la testa leggera e le gambe cedevoli. Calma. Alla mia età potrebbe essere fatale. Frugo sopra il comodino alla ricerca dell'oggetto metallico il quale, preciso come sempre, mi dirà, almeno, che ore sono.

Cooosa? Le dieci! Ommioddio. 

Il campanello continua imperterrito a emettere un suono che, diversamente dal solito, in questo infernale inizio di giornata lo percepisco come il boato di un vulcano in piena eruzione. 

"Ma che razza di modi sono questi!"

Mi sento urlare come fossi una venditrice di pesce al mercato rionale.

Il postino. Maledetto. Di sicuro è lui. Ogni volta è così, si attacca al campanello come fosse l'ultima azione della sua vita. Suona e risuona anche quando non mi deve consegnare niente. Nemmeno uno straccio di bolletta. Nemmeno una misera cartella esattoriale. Mai una cartolina, un biglietto di auguri. No, solo bollette, al massimo qualche depliand  del supermercato. Mi alzo dal letto. Quasi barcollando raggiungo la porta. Aziono il pulsante del citofono.

– Marcello, è lei?

 Mi sistemo la vestaglia. Marcello è un uomo grassoccio, con poca peluria in testa, il viso paffuto corredato da occhi vispi e cerulei, vedermi in vestaglia potrebbe metterlo in una situazione di grande autostima. Potrebbe dare vita al mostro che si nasconde in qualche misterioso anfratto corporeo. Appena sveglia, dopo una nottata instabile non credo di somigliare nemmeno lontanamente alla splendida Marylin Monroe ma, Marcello, sono sicura che chiuderebbe volentieri un occhio.  

– Nonna, sono io. Mi apri?

Filippo!

IO E L'ALTRADove le storie prendono vita. Scoprilo ora