Storie di tutti i giorni

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 Alessandro mi sta di fronte, negli occhi scopro un guizzo. Con l'agilità dei suoi vent'anni si sposta portandosi  alle mie spalle. Complice il numero di persone racchiuse nei pochi metri quadrati, avverto la compattezza del suo corpo contro il mio. Mi cinge con le braccia, sento la potenza della sua giovinezza. Mi ritrovo a pochi centimetri dal volto di un altro uomo bambino.  Un amico di Alessandro? Molto di più dal momento che le loro mani si cercano, si afferrano, creando una sorta di cerchio, all'interno del quale una donna, in evidente stato di ebrezza, non imputabile all'abuso di alcool, dondola seguendo il ritmo della musica. Il cerchio umano mi stringe sempre più. Mi sembra di soffocare. Mi manca l'aria. 

- Ciao, mi chiamo Paolo.

Il suo viso è vicinissimo al mio, le nostre labbra quasi si sfiorano. Sento il respiro caldo di Alessandro sulla nuca, appoggia delicatamente le sue morbide labbra alla base del collo. Il calore di quel bacio soffiato è la conferma che le emozioni non hanno età. Si risvegliano nella tarda primavera anagrafica. Paolo ha capelli biondi e lisci, la sua barba incolta mi pizzica le guance.  Giovanissimo. Così mi sembra. Ma non sono in me e potrebbe avere anche novant'anni. Non farebbe molta differenza. Sento la testa come fosse un palloncino. Adesso scoppia, ne sono sicura. Percepisco il calore del volto come il bruciore del sole sulla pelle negli assolati pomeriggi estivi. Ho l'epidermide delicata, con niente mi ustiono. Potrei prendere fuoco come una strega sul rogo.  

Avverto il bisogno impellente di fare pipì. Lascio i miei amici che cercano di trattenermi. Mi divincolo dal loro abbraccio sensuale e mi dirigo verso il bagno. Mi osservo allo specchio che prende un'intera parete, questa volta senza temerne il riflesso. Ho le guance di un rossore innaturale, gli occhi lucidi, la pelle levigata, i capelli arricciati per il sudore. Dimostro vent'anni di meno. Mi vedo giovane e bella. 

L'Altra è quella nello specchio. Io non sono più io. Un senso di vertigine mi assale.

Mi sciacquo il viso nel tentativo di riportarlo alla sua normale temperatura. Perché mi trovo ancora in questo luogo di perdizione?

Michele! Era con lui che avevo appuntamento. Un incontro ludico con il sapore delle innocenti  trasgressioni ma, Michele, non si è fatto vedere. Non ha colto l'invito giocoso.

Il mio sguardo per un attimo si rattrista. Solo per un attimo. Non voglio farmi prendere da senili malinconie. 

Arrivare a questa età ha i suoi vantaggi. Mai più lacrime per un uomo. Mai più sorrisi spenti per chi non ti merita. Forza Patrizia, sei sopravvissuta a ben altro. Michele certamente non arriverà a mortificare la parte più vulnerabile e sensibile, non riuscirà a ferirti.

Un'ultima occhiata allo specchio e mi ritrovo di nuovo catapultata in mezzo a corpi sudati. Ragazze sempre meno vestite e uomini che cercano di togliere con lo sguardo, quei pochi, succinti, indumenti. Sembra di stare nel delirio opprimente di una spiaggia affollata. Ammassati uno contro l'altro. Una sete terribile mi assale. Alessandro e Paolo sono spariti. Forse ho sognato. Ho le visioni.

- Ciao caro, mi daresti un'altra "coca"?

 Renato, questo il nome del mio personal ammiratore, bartender di professione, mi versa la "coca".

- Senza ghiaccio e senza limone, giusto?

- Giusto, vedo che hai un' ottima memoria, bravo!

Sono costretta quasi a urlare. Il frastuono mi rimbomba in testa. Ho voglia di andare via.

Ammettilo, il fatto che Michele si sia dimenticato ti dà fastidio. Sì, lo ammetto.

- Ciao caro, grazie e buon lavoro... 

Saluto il barman e mi avvio verso il guardaroba.

Alcuni uomini, al mio passaggio, mi osservano con ammirazione. Abbasso lo sguardo. Non voglio dare neanche un barlume di speranza. Siete tutti uguali. Vi conosco e non vi temo più. Ma soprattutto non riuscirete più a procurarmi malinconici stati d'animo.

Una sorpresa mi attende all'esterno.

La neve! 

Allungo una mano per raccogliere qualche fiocco. Mi stringo di più nel cappotto di piumino. L'aria gelida è una sferzata. Quante nevicate ho visto in tutta la mia vita? Tante.

Cento? Mille? Un milione?

Non importa, ogni volta è un'emozione. Mi commuove. Vorrei tornare bambina. Vorrei che mio figlio fosse ancora bambino. I bambini non dovrebbero mai crescere. Soprattutto quando nevica.

Pochi passi, pericolosamente incerti sul velo ghiacciato, mi bastano per arrivare alla mia piccola vettura. Alzo lo sguardo verso la luce dei forti lampioni il cui compito è quello di illuminare il vasto piazzale antistante l'edificio rimbombante. Attraverso la luce i fiocchi immacolati sembrano tanti piccoli puntini luminosi; un effetto ottico suggestivo.

Inserisco la chiave nel cruscotto. Un brivido parte dalla nuca e arriva fino ai piedi. Sento sbucare una lacrima.  Il tergicristallo toglie il sottile strato soffice e candido dal parabrezza. La neve mi emoziona e mi frega. Sempre. 

Come ho vissuto fino a oggi?

Con malinconica leggerezza. Soffice, come la neve.

Sto tremando, sarà il freddo oppure l'emozione oppure la delusione. Ho dimenticato i guanti. Il volante gelido si attacca alle mani come un cubetto di ghiaccio.

Fortunatamente ci vogliono solo dieci minuti per arrivare a casa. Non vedo l'ora di mettermi sotto al piumone. Non sono neanche le due di notte, penso che Antonio non è ancora tornato. Respiro a fondo. Posso percorrere i pochi chilometri con la dovuta cautela. Il manto stradale è scivoloso, uscire di strada a cinque giorni dal Natale non rientra certamente tra i miei futuri, incerti, programmi.

La delusione che provo per non avere rivisto Michele supera in negativo ogni previsione.

Però mi sono divertita. Ho giocato con Alessandro e Paolo come una gattina con i topolini.

La strada è deserta. I fiocchi di neve polposi e immacolati vengono scaraventati via dai tergicristalli con delicatezza.

Il condominio a quest'ora della notte sembra disabitato. Tapparelle ermeticamente chiuse. Nessun rumore. Cammino in punta di piedi. Sembro una ladra che penetra in casa sua.

- Mamma! Dove sei stata, è un'ora che ti chiamo al cellulare, perché non rispondevi?

Antonio si è alzato di scatto dal divano e mi guarda quasi con disprezzo. La sorpresa per un attimo mi immobilizza. Non riesco a connettermi con qualche cosa di opportuno e sensato da dire a mia discolpa. Da anni vivo sola, mi sono adagiata in questo senso di benessere nel sapere che posso fare quello che mi pare senza dovere rendere conto a nessuno. Mi sento come una ragazzina sorpresa dai genitori in un'orario sciagurato.

- Ehm Antonio, di solito ritorni verso l'alba, quindi non mi sono preoccupata di avvisarti...

Cerco nella borsa il cellulare. Venti chiamate perse. Tutte di Antonio. Un messaggio. Di Michele.

- Ero da un'amica e non ho sentito il cellulare, scusami...

Non posso certo confessargli che era il frastuono della discoteca a non farmi sentire niente. 

Mi guarda socchiudendo gli occhi. Due fessure taglienti peggio di una lama. Quando mi guarda così mi fa paura.

- E sei andata da un'amica vestita così?

Mi osservo.

- Perché, come sono vestita?

- Ma ti sei vista? 

- Non sono nuda!

Antonio vestita così mi ha vista  in un lontanissimo veglione di Capodanno. Avrà avuto tredici anni. Io molti di meno di quelli che ho ora.

- La mia amica ha dato una cena importante, c'erano ospiti di un certo livello, mi ha detto lei di vestirmi elegante e poi è quasi Natale, insomma stare sempre in tuta o in vestaglia mi deprime e... credo di essere abbastanza grande per decidere come vestirmi!

- Sì, sì, ciao buona notte eh...

 Antonio ha chiuso la porta della sua camera con un tonfo secco, senza prestare molta attenzione all'orario notturno. Mi tolgo il travestimento e mi rimetto la "divisa" che mi rende la donna normale di tutti i giorni. Quella che va al supermercato, evita i vicini, scrive, legge, beve camomilla, si nutre come un uccellino.

 Questa sono io. L'Altra riposa in pace. 

IO E L'ALTRADove le storie prendono vita. Scoprilo ora