Tragedia a Capodanno

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Finisco di bere il mio caffè in quella che dovrebbe essere una "sacrosanta pace" ma ho il forte dubbio che la tanto sospirata e agognata "pace" abbia preso altri lidi. Proietto lo sguardo pensoso oltre il vetro della finestra. Un nuovo anno è appena iniziato e già mi sembra stanco. Vecchio. Il cielo ha quel colore lattiginoso, bianchiccio; dubbioso tra neve e pioggia. Mi sento affondare nell'incertezza ovattata di una giornata di gennaio. Le strade sono deserte, la notte di San Silvestro produce questi effetti collaterali. Un  colpo di tosse sopraggiunge da dietro la mia esile figura.

– Mamma, lei è Tiziana.

Mi sistemo i capelli dietro le orecchie le quali, senza stupore alcuno, hanno appena assorbito parole che non riconosco. Tant'é. Tapparmi le orecchie non ha più nessun senso. Il mio corpo reagisce. Mi giro. Ho un leggero capogiro.

Riesco solo a pensare che mio figlio abbia voluto presentarmi la ragazza di suo figlio. Ricordo la frase pronunciata da Antonio appena qualche giorno addietro, ma sembra passato un secolo: 

" Mamma, è molto giovane... ".

Oh, se lo è. Mi viene incontro con la mano tesa. Dentro la mia, che non è quella di un gigante, mi sembra la mano di una bambina. Nemmeno la stringo per paura di farle male. Ci guardiamo con un sorriso che appare più che altro di circostanza.

 I miei occhi, probabilmente segnati da una notte non proprio tranquilla, si inchiodano su due iridi verdi abbelliti da folte ciglia. La carnagione chiara mette in risalto i colori di un volto tondeggiante, infantile, con la bocca carnosa. 

Tiziana non poteva avere nome più azzeccato. La calda tonalità rosso Tiziano dei lunghi capelli avvolge il volto della donna bambina che mi sta sorridendo mostrando una fila di perle; la sua esile mano ancora nella mia.

– Ciao, mi chiamo Patrizia e sono la mamma di Antonio. 

Da come mi osserva deduco che le informazioni appena ricevute siano state fornite dall'uomo che sta seguendo tutta la scena con un mezzo sorriso di circostanza. Antonio ci guarda quasi commosso.

– Lieta di conoscerla, signora. 

Lo dice abbassando lo sguardo, palesemente in imbarazzo. Io ci sto sguazzando come un'anatra nello stagno, in questo imbarazzo collettivo. Si potrebbe affettare con il coltello dell'arrendevolezza. 

"Signorina, gradirebbe un trecento chili di imbarazzo appena scongelato?". Zittisco la frase che tengo per me. Cerco nei meandri della buona educazione il comportamento da educata padrona di casa alle prese con un ospite non invitato, non gradito, nemmeno lontano parente.

– Signorina, gradisce un caffè? 

Sono innaturale, ipocrita e il tono della voce non mente. Non sono capace di esternazioni affettuose o quantomeno amichevoli in simili situazioni tragicomiche.

– Ehm... signora. Un caffè lo gradisco volentieri, grazie!

SIGNORA. Ha per caso detto SIGNORA? Forse ultimamente non sono molto lucida ma ci sento benissimo. Ha detto proprio SIGNORA.

Non ce la posso fare. Questa non la reggo. 

– Scusatemi, devo andare in bagno. Antonio, per favore versa il caffè alla SIGNORA...

Inutile dire che ho calcato molto sull'ultima parola. Non volevo, una spontaneità irruenta, incontrollabile. E questa volta non chiedo venia, non chiedo perdono a nessuno. Credo sia mio sacrosanto diritto sentirmi esattamente come mi sento. Allibita, sbigottita, incredula, sbalordita e mi fermo per non trascendere.

Mi sciacquo il viso, metto un po' di crema attorno agli occhi cercando disperatamente di non versare nemmeno una lacrima. Il contorno occhi cremoso perderebbe tutta la sua potenzialità. Mi guardo allo specchio, quello del bagno, il quale sembra più rispettoso del suo collega piazzato nel corridoio. Nel frattempo la vasca si è riempita fino all'orlo. Chiudo il rubinetto, un allagamento sarebbe la classica goccia che fa traboccare il vaso o, come in questo caso, la vasca.

Come un flash inaspettato mi arriva l'immagine di Giuseppe. Lo vorrei qui con me, mi consolerebbe, mi sosterrebbe, mai come in questo momento mi sento vulnerabile. Fragile.

Sarà l'età. Penso uscendo dal bagno.

Antonio e Tiziana si sono trasferiti in soggiorno. Seduti vicini eppure, ai miei occhi, lontanissimi. Lui alto quasi due metri dotato di una possente muscolatura. Lei esile, quasi una miniatura. Talmente diversi, almeno fisicamente, non potrebbero essere.

Mi siedo sulla mia poltrona di un bel colore cremisi, vorrei azionare la funzione massaggiante ma non mi sembra il caso. Non ho tempo per rilassarmi, ho una nuova nuora di cui occuparmi. La vecchia nuora spero sia lontana anni luce, affrontarla nello stato in cui penso sia mi darebbe il colpo di grazia.

– Allora Tiziana, cosa mi racconti di bello? 

Mi sento talmente impreparata di fronte a questa situazione, a dir poco inconsueta che non mi è venuto niente di più intelligente da chiedere. In realtà ho la testa piena di domande ma cerco di non sovrastare la nuova conquista di mio figlio con domande da inquisizione. 

I due piccioncini si guardano. Lei sorride, arrossa le guance, abbassa lo sguardo. Sposta con un colpo della testa i lunghi capelli dietro alle spalle. Mio figlio ha un'aria ebete, eppure non mi ha dato mai problemi; a scuola si è sempre comportato bene, mai preso una nota, mai un richiamo dai professori, mai un' insufficienza, mai una bocciatura, mai una materia da recuperare a fine anno. Il classico studente modello da dieci in condotta. Ma in questo momento ha un'aria beota oppure è talmente innamorato da assumere questa espressione non appropriata alle sue qualità.

Avranno passato Capodanno assieme? Aurora sarà al corrente? E Filippo? Oddio Filippo, in tutto questo bailamme mi sono completamente dimenticata di mio nipote! Sono una nonna snaturata. Una madre incapace. Una suocera incompresa. Una donna sull'orlo di una crisi ansiosa. 

Incalzo con le domande. Ho la tentazione di puntare addosso a quel bel faccino da bambola la lampada della scrivania. Montalbano sbiancherebbe di fronte a tanta capacità investigativa. Mi impongo di non dare sfogo alla mia maliziosa curiosità.

Antonio prende una mano di Tiziana con grande tenerezza. Lei lo guarda incantata. Se non ci fosse di mezzo una moglie tradita e un figlio smarrito chissà dove sarebbe una scena da innamoratini di Peynet. Invece è una tragedia. 

La tragedia di Capodanno.


Spazio autrice

Capitolo tosto. L'anno nuovo sembrava iniziare in modo davvero promettente per Patrizia ma anche per Giuseppe il quale, da quando era rimasto vedovo, non aveva trovato lo spirito giusto per un'altra relazione. Finalmente si erano incontrati al di fuori dell'ascensore e dei saluti di circostanza. Sembrava che il destino avesse in serbo per  loro solo cose belle ma, come spesso accade nella vita, gli imprevisti sono sempre dietro l'angolo e qui, di imprevisto, ne abbiamo uno davvero consistente. 

Povera Pat! Non vorrei essere al suo posto...

Al prossimo imprevisto ehm, volevo dire, al prossimo capitolo.


IO E L'ALTRADove le storie prendono vita. Scoprilo ora