Tiziana

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Se la faccenda non fosse tremendamente seria mi metterei a ridere. Ma, dopo l'annuncio di mio figlio, nonostante io mi sforzi assai di trovare quella verve che tante volte mi ha sorretta, penso che in questo momento, nemmeno Ercole riuscirebbe a risollevarmi dalla poltrona dove mi trovo penosamente accasciata. 

Ma dai, ho senz'altro capito male. Mio figlio, nonostante non sia un tipo incline all'ironia, ogni tanto si diverte a farmi degli scherzi. Vuole burlarsi di me, vuole vedere a quale stadio di demenza senile sono arrivata; ho il dubbio che lo faccia per mettere alla prova la mia salute psicofisica. Insomma, vuole capire se tengo ancora botta. 

Se supero anche questa vivrò cent'anni.

Mi rendo conto di avere ancora gli occhi sbarrati per la sorpresa. Prendo altresì atto che la mia attuale espressione non deve essere tra le migliori del mio personale repertorio di mimica facciale. Cerco di riprendere il controllo. Faccio quasi l'indifferente mentre mi alzo dalla mia comoda poltrona massaggiante, vibrante, dondolante e mi avvio verso la cucina.

 Il caffè è un rito ineludibile, fosse anche l'ultima cosa compiuta in questa vita nessuno me lo può togliere. 

 Non sono deceduta ergo, vivrò cento anni. Di solitudine.

Antonio mi segue. Testa bassa. Mani in tasca e nella mente non oso immaginare cosa gli stia passando. Gliela vorrei aprire e guardarci dentro a quella matassa cerebrale. Sorvolo su questa improbabile mia azione ed entro in quello che un tempo veniva definito il "focolare domestico".  

– Posso farla uscire?

Prendo la moka, ci metto l'acqua e poi la polvere scura dal profumo irresistibile. Annuso i chicchi macinati, per un attimo rimpiango i vecchi macinini, quelli di legno con il cassettino. Adesso sono preziosi oggetti di arredamento. Mia nonna ne aveva una collezione sopra la cappa della cucina economica. Vorrei tornare indietro. Vorrei poter bermi il caffè con la mente vuota come una zucca. 

– Antonio, lo vuoi un caffe?

Continuo la farsa della sorda, della gnorri. Insomma non voglio sentire oltre quello che ho già sentito. Una notizia così potrebbe stroncare chiunque.

Prendo due tazze grandi, lo zucchero, metto la moka sul gas e aspetto. Aspetto che la moka emetta il suo adorabile borbottio. Aspetto di assaporare la bevanda scura, calda. Mi farà bene. Aspetto che il Padreterno... Non esageriamo, Lui ha ben altre cose di cui occuparsi.

Mi siedo. Antonio è in piedi contro lo stipite della porta. Ha l'espressione di uno a cui hanno inferto una bastonata tra capo e collo. Afflizione, ansia, preoccupazione, angoscia. Vedo nei suoi occhi ogni sorta di emozioni. Povero figlio mio. Di certo non vorrei essere al suo posto, in questo momento. E povera anche Aurora. Non avrò più il coraggio di guardarla in faccia. Se la incontrassi per strada dovrò temere il suo inseguimento. 

"Signora, ma che razza di figlio ha!" E questo, di sicuro non me lo direbbe con un messaggio  WhtsApp. Nemmeno potrei risponderle: "Tesoro, non sei stata capace di tenerti tuo marito, pensavi solo ai vestiti, alle scarpe a... a... tutto, fuorché al tuo uomo!"

– Antonio per favore mettiti seduto, vederti in piedi in tutta la tua mole mi mette ansia. 

Guardo mio figlio. Non lo riconosco più. Ma l'ho partorito io per davvero? Come ha fatto a diventare così grande? Sono passati tanti anni ma lo ricordo ancora quel giorno. il giorno in cui me lo hanno portato avvolto come un salsicciotto in una copertina. Lo ricordo perfettamente il momento in cui i nostri occhi, per la prima volta, si sono attraversati. Lo guardavo stupita, meravigliata da quella creatura che fino a qualche minuto prima stava dentro il mio corpo. Mi sembrava impossibile avere fatto una cosa tanto bella! Non riuscivo a immaginarmelo da grande. Per molto tempo ho avuto la sensazione che non potesse o dovesse o volesse crescere. Come poteva un bambino così piccolo diventare un ragazzone di quasi due metri? Eppure riconosco quegli occhi. Sono gli stessi. Tutto il resto è cambiato: il suo intelletto, il suo corpo, la voce, i sentimenti, i suoi gusti, il modo di vestire. Di camminare.

Ma gli occhi no. I suoi occhi sono sempre gli stessi.

– Mamma, allora, posso farla uscire dalla mia camera?

Dunque non mi sono sbagliata. Quello che mi sta chiedendo è reale. Non siamo sul palcoscenico di un teatro, siamo nella mia cucina, lui è mio figlio e io sono una donna matura ma ugualmente impreparata alle tematiche complicate della vita.

– Antonio, per favore fammi gustare il caffè, siediti, bevi il tuo e poi ne parliamo. Non sono pronta.

E non lo sarò mai. Vorrei aggiungere ma impedisco alle parole di uscire chiudendomi la bocca con il bordo della tazza.

Il rumore della sedia spostata con una certa irruenza mi fa sobbalzare. Sono tesa come le corde di un violino. La serata che ha preceduto questa bizzarra, nuova mattina di un nuovo anno mi sembra lontanissima. 

Le candele accese, i bicchieri di Murano, Giuseppe con il grembiulino, il prosecco e tutto il resto probabilmente rientrano in una vita vissuta precedentemente. Nella proiezione di un film il cui sceneggiatore si è sbizzarrito in una trama dai contorni paradossali, incalzato da un regista pazzo il quale ha effettuato riprese cinematografiche con grande uso di effetti speciali.

 Adesso è piombato tutto in una realtà surreale che faccio fatica a metabolizzare come reale. 


Carissime,

confesso che questo capitolo mi ha spiazzata. Anzi, mi ha sconvolta. Lo avevo iniziato collegandomi, giustamente, al precedente; insomma, di argomenti ne avevo, eccome! Una notte di San Silvestro così credo che Patrizia l'aveva solo sognata ma in tempi molto remoti. Eppure...

 Eppure la scrittura ha dell'incredibile e io ne sono sempre più attratta. Ecco che allora tutto si capovolge e travolge ogni pensiero, ogni proposito. E, ancora una volta, ho lasciato che la fantasia, l'immaginazione sia padrona assoluta. Tiziana in questo capitolo non ci doveva essere poiché la ritenevo un "capitolo" della vicenda chiuso per davvero.

 Ho cancellato quello che avevo già scritto e mi sono lasciata trasportare.

Alla fine ho solo eseguito ciò che mi era stato dettato dall'intelletto.

Se ricordate (fatemi contenta dite di sì) all'inizio di questa storia vi avevo avvisato: "Non so dove andrò a parare" e "Non ho la più pallida idea di come finirà". 

Ancora non ce l'ho, l'dea, ma sono davvero molto curiosa di capire cosa o chi mi verrà a cercare. Non devo far altro che assecondare la "ghostwriter che alberga in me.

E... l'Altra? Dove è finita? Dove si è nascosta? Tornerà?

Non lo so. Non lo so. Ma è bellissima questa sospensione, questa incertezza.

Se siete arrivate fin qui, significa che la storia vi sta pendendo, vi sta piacendo e siete curiose quanto me di scoprire i prossimi capitoli. Non posso che essere felice per il vostro sostegno e il vostro affetto. Grazie. 

Ornella




IO E L'ALTRADove le storie prendono vita. Scoprilo ora