2. Notte di attesa

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«Non si preoccupi per Jez, è sempre stato un po' scontroso e diffidente. E lo capisca, con tutto ciò che accade recentemente, noi non siamo abituati. Ma non vuol dire che non l'aiuteremo, saremo completamente a sua disposizione. Qualsiasi cosa, la chieda. Abbiamo atteso a lungo un aiuto ed è giusto ricompensarlo.»

Aveva perso il conto dei minuti che quella donna aveva sprecato per parlare. Non aveva ascoltato pressoché niente del discorso: lo conosceva a menadito, dopo l'ennesima volta che le era stato rivolto. Aveva tenuto a mente solo le indicazioni di base, quelle di stretta necessità, il resto valeva quanto i granelli di sabbia mossi dal vento.

Per sua fortuna gran parte degli abitanti erano impegnati nella cava e la notizia della sua presenza non si era ancora sparsa. Il barista l'aveva comunicata solo alla proprietaria del motel e a sua figlia, per poterle trovare il prima possibile un alloggio, e finora il cerchio si era fermato a quelle tre persone. Forse poteva chiudersi dentro quelle mura bianche sino a notte inoltrata, forse era l'idea migliore pur di non sopportare l'ennesimo comitato d'accoglienza.

«È tutto molto gentile da parte vostra. Ora vorrei riposare un po', il mio viaggio è stato lungo» disse, voltandosi e sforzandosi di sorridere.

La proprietaria si zittì improvvisamente, restando con la bocca aperta. I suoi occhi verdi vibravano, confusi, in cerca di comprendere come reagire alla sua interruzione, ma ripiegò per la soluzione più semplice, quella che preferivano tutti.

«Sì, certo, ovviamente. Se volete potremmo preparale un pasto per cena, in tal caso...»

«Non servirà. Non voglio disturbarvi per nulla, non ho necessità di mangiare. La ringrazio comunque.»

La donna sembrò borbottare qualcosa, ma uscì dalla stanza, dopo averle augurato la buona notte e aver chinato rapidamente il capo.

Quando la porta automatica si chiuse, poté tirare un sospiro di sollievo. Si allontanò dalla finestra, stufa dello spettacolo monotono di una piazzetta vuota, e si gettò sul letto. Restò a fissare le luci al neon per parecchio tempo, svuotando la sua mente, riuscendo a non pensare a nulla, né a ciò che la tratteneva in quel luogo, né cosa l'aveva spinta.

Avrebbe potuto spegnere le luci, sperare che il sonno giungesse grazie al buio, ma sapeva che il buio portava anche i sogni e i suoi non erano felici. Il nulla era meglio, quella sensazione di vuoto che non lasciava spazio ad alcuna emozione, una sensazione che la faceva fluttuare in una dimensione surreale, dove esistevano solo quelle freddi luci bianche e il letto che la sorreggeva.

La noia iniziò a vincere sulla sua resistenza e iniziò a portare con sé il sonno. Ogni volta che gli occhi cercavano di chiudersi, lasciavano entrare immagini create dalla sua mente e, alla quarta volta che rischiò di addormentarsi, si spinse con le mani, tornando seduta. Si stropicciò il volto, per svegliarsi, e guardò fuori dalla finestra. Il cielo era plumbeo, la notte era calata e la città era macchiata da punti azzurri. La osservò per un po', prima di decidersi ed alzarsi in piedi. Pur di non dormire, anche visitare una città vuota era un'alternativa migliore.

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Aguzzava i suoi sensi, cercava di percepire in lontananza la presenza di quelle viscide creature che cacciava ormai da troppo tempo. Non mancava tanto al loro arrivo in quella cittadina, si sarebbero già presentate il giorno dopo, forse nel pomeriggio, se i suoi sensi non la ingannavano. Aveva una mattinata per comprendere quante fossero e come danneggiare il meno possibile il centro abitato. Se erano pochi, poteva andar loro incontro, se erano tanti, doveva sfruttare al meglio le zone periferiche. Le aveva appena visitate, erano costituite da basse case sparse, pezzi di metallo che sorgevano sul deserto violaceo colorandolo con le luci azzurre degli interni e dei loro generatori. Non era il terreno migliore, ma poteva sfruttarlo, aveva affrontato di peggio.

Ultimo Bagliore - Libro di MarāDove le storie prendono vita. Scoprilo ora