Capitolo 5 - IL MOSTRO

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Giunta al cospetto del maniero Menta scoprì che non c'era nulla a cui legare il cavallo sulle lisce mura della villa, né alcun essere umano a cui poterlo affidare. Menta carezzò il muso dell'animale finché sembrò abbastanza calmo da restare libero e solo senza arrecare danni alla tenuta che poteva offrire loro un tetto per la notte. Salì poi la breve scalinata che portava all'ingresso della tenuta. Si voltava di frequente per assicurarsi che il cavallo non si allontanasse ma quello, forse per paura o forse per la preghiera della ragazza, non si mosse.

Il portale gotico era alto e scuro, massiccio, affiancato da due affusolate statue grigie. Su ogni battente di legno nero, tra intagli romboidali, stava una testa di leone in bronzo dalla folta criniera che stringeva tra i denti un anello. Menta afferrò il batocchio e bussò con insistenza, sotto lo sguardo infuriato del leone. I colpi sembrarono percuotere l'intera villa, riecheggiando al suo interno con un'eco profonda.

Menta attese. Attese pregando che ci fosse qualcuno, anche un mostro, purché le aprisse. Attese invano. Strinse di nuovo l'anello e bussò ancora, più forte e insistente. Disperata. Ciocche sfuggite alla curata acconciatura le si incollavano al volto. Il cappotto ormai intriso le pesava sulle spalle come cemento ghiacciato. Il fango le impastava viscido i piedi.

Quando ormai Menta si era arresa e stava per abbandonare la villa, un chiavistello scattò. L'enorme portone cominciò ad aprirsi lento ma inesorabile, con un soave suono di cardini ruotanti. Comparve un ragazzo in livrea a spiarla dallo spiraglio del battente aperto, con grandi occhi neri anche più sbarrati di quelli del leone.

«Vogliate s-scusarmi,» disse Menta con la massima e sperò convincente cortesia che le consentivano le labbra congelate. «La mia carrozza è stata d-danneggiata da una frana e sono impossibilitata a raggiungere la mia casa. I miei servitori sono tornati al paese a chiedere aiuto, posso domandare asilo per me e questo cavallo fino al loro ritorno? Si tratterà s-solo di una manciata di ore.»

Il domestico restava immobile come davanti a un'apparizione. Eppure Menta, con il mantello da uomo, l'abito infangato, il volto stanco e i capelli scomposti non si riteneva l'angelo che quello pareva vedere.

All'improvviso il ragazzo scattò. Contrariamente alla più elementare accoglienza la piantò in asso e scomparve nel maniero oscuro. La porta sbatté rumorosamente, spalancata. Rifiutandosi di pensare troppo, Menta entrò.

Fioche luci di un lampadario dondolante rivelavano dal soffitto un ampio atrio e statue di leoni accovacciati che parevano respirare alla luce tremolante. Gli animali di marmo riposavano alla base di due imponenti rampe di scale che salivano in alto nell'ombra, coperte da un infinito tappeto spagnolo, verso quello che pareva essere un salone dalle chiare volte a ventaglio e illuminato molto più di quanto riuscisse a fare nell'atrio il povero lampadario sottostante. Povero tuttavia non era il termine appropriato, dato che l'intrico di bracci di metallo era visibilmente frutto del lavoro di un raffinatissimo artigiano.

A bocca aperta Menta abbassò il cappuccio fradicio sulle spalle. Fece qualche passo curioso e reverenziale nell'atrio. Lì vicino, proprio sotto al salone che irradiava luce, pareva potersi raggiungere attraverso un rotondo arco rinascimentale un altro salone immerso nel buio. C'erano splendidi quadri alle pareti, stucchi dorati in ogni angolo, eppure il più totale buio silenzioso impediva di godere della più semplice di quelle meraviglie.

D'improvviso un vociare indistinto, grida e passi affrettati, e delle figure comparvero da ogni parte: dal salone buio dietro l'arco, da quello illuminato in alto e dalle gallerie che da esso si allungavano. Domestici. Increduli e inebetiti quanto lei, si tenevano accuratamente nell'ombra, pochi si sporgevano dalla balaustra in alto per meglio scorgere l'inatteso ospite. Tutti si erano fatti muti.

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