Casa Delle Vigne attendeva con ansia il ritorno della sua signora. Zera non aveva risparmiato nessuno dei servitori, trovato lavori essenziali che era assolutamente necessario svolgere prima del ritorno di Menta.
C'era chi era stato incaricato di uscire sotto il cielo carico di pioggia per andare in cerca degli ingredienti dei piatti preferiti della padrona, chi aveva dovuto tener pulite e in ordine le sue stanze per tutto il mese, chi aveva procurato fiori e candele nuove per le camere, mentre Turquadid si era occupato della stalla con più fervore del solito, certo che Menta avrebbe apprezzato di rivedere i suoi cavalli in forma.
Quando la carrozza si fermò e uno dei due lacchè a cassetta saltò sul selciato con un ombrello per aprire lo sportello, Zera era già alla finestra ad aspettarli da ore. Lasciò cadere il panno con cui aveva ripetutamente spolverato lo stesso vaso di ottone sul davanzale interno e corse alla porta. Turquadid la trattenne.
«Aspetta, non possiamo manifestare i sentimenti fuori dalle mura di questa casa.»
Zera placò le emozioni come ricoprendosi di ghiaccio. «Hai ragione.»
Il fratello annuì compiaciuto, ma i pochi metri che separavano il cancello dall'ingresso sembrarono chilometri. Menta non aveva nessuno accanto a lei a trattenerla: corse ad abbracciarli con quanta forza avesse.
«Menta, ti prego» tentò Turquadid, con un sorriso più ampio del suo.
«Mi sembra di non vedervi da anni» sussurrava al collo di Zera, riempiendosi i polmoni del dolce profumo di spezie e arance.
La balia la prese sottobraccio, conducendola in casa, mentre Turquadid chiudeva la porta.
Giuseppe il maggiordomo era già lì a prenderle il mantello e riporlo in un piccolo armadio a muro dietro la porta.
Le pareti erano tappezzate di finestre lucide e quadri di dubbio valore a lei perfettamente noti; il tavolino quadrato, laccato e scuro, era ancora lì, sotto il solito specchio, accanto al solito varco che dava nel salotto dove i tre canapè celesti si fronteggiavano circondando il tavolo ovale di legno chiaro di abete. Fece scorrere un dito su una piccola ma netta incisione sul ripiano del tavolo: l'aveva arrecata lei, giocando anni addietro con un coltello dimenticato incustodito.
«Perché ridi, bambina?» le chiese Turquadid serrandola finalmente in un abbraccio tanto atteso.
«Perché sono contenta. Non credevo avrei mai potuto sentire tanta nostalgia.» Menta gustò il calore del salotto dalle pareti color limone, inspirò l'odore dei mobili e dei ciocchi di legna che bruciavano nel caminetto.
«Lo porto nella vostra camera?» Giuseppe le porgeva la scatola di velluto contenente lo smeraldo.
Un fulmine al cuore, Menta dimenticò di essere a casa. Rivide la tavola imbandita, le candele allegre fiammeggianti, l'uomo seduto che brindava a lei ammirandola nella penombra da sopra il calice.
«Sì, grazie. Nell'armadio. Il più in fondo possibile.»
Giuseppe fece un inchino di assenso e scomparve.
«Che cos'è?» domandò Zera.
«Una collana» e si rifiutò di aggiungere altro. Un profumo invitante le restituì il buon umore perduto ricordando il Conte. «Mele all'inglese!»
«Tolte ora dal forno» assicurò Zera compiaciuta, evitando di chiedere perché avesse fatto chiudere una collana nell'armadio. «O se preferisci, ci sono tazzine, pallottole di mandorle, o cioccolata.»
«Quanta abbondanza. Dovete forse dirmi che mentre ero via è andata a fuoco la casa?»
Turquadid sorrise, con quel sorriso con cui non schiudeva mai le labbra, socchiudendo leggermente le palpebre. «Non ti abbiamo preparato la torta di compleanno, dovevamo recuperare.»
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La Rosa Del Lago
Historical FictionSulle rive del lago di Garda, nei primi decenni dell'Ottocento, tutti hanno dimenticato Villa Delle Rose e il Conte che vive recluso come un mostro delle fiabe. Finché il caso costringe la giovane Menta a stringere un patto con il mostro e a trascor...