Capitolo 12 - QUALCOSA DA FARE

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Menta fece qualche passo tra le sedie imbottite e i canapè, ammirando la sala di musica.

«Gli strumenti sono accordati» spiegava Anna indicando ora l'arpa, ora il clavicembalo, ora il violino là nell'angolo. «Anche se nessuno ormai suona, Ottavio li accorda, è parte dei suoi compiti qui.»

Una sala di musica in perfette condizioni ma muta da anni era uno spettacolo triste. Nel suo gironzolare Menta si sedette su un morbido sgabello a tre gambe al clavicembalo. Il pentagramma era aperto come a fissarla interrogativo: cosa voleva fare, dunque? Affogare anche lei in una tristezza muta e uno sconforto rabbioso per tutto il mese?

Menta iniziò a suonare scorrendo il pentagramma. Note tristi e limpide si diffusero nella sala, tra i ritratti alle pareti e i soldati del soffitto, in una melodia solenne e straziante che echeggiava nella stanza palpitante nella penombra. Le palpebre si fecero pesanti, i pensieri confusi, Menta suonava drogata dalla musica.

Come poteva un uomo che possedeva tanta evidente fortuna essersi esiliato nella sua stessa casa? Era davvero malato come aveva spiegato Ugo, o si stava più semplicemente lasciando morire in una tomba dorata e buia? Perché non fare lo stesso?

Menta sollevò le dita dai tasti quasi scottassero.

Quella musica... no, quella magnifica casa aveva il potere, con il suo scuro silenzio, di avvolgere le persone in una sottile e tagliente malinconia. Ma Menta era una persona tutt'altro che malinconica, quello stato d'animo non aveva mai fatto presa sul suo carattere e non avrebbe cominciato ora.

Voltò alcune pagine del pentagramma, trovò una marcia allegra e giocosa che suonò con impeto e scacciò il contagio.

Dopotutto un mese passa in fretta. Doveva trovare qualcosa da fare per trascorrere il tempo, per costringere quei lunghi giorni a correre rapidamente, tornare a casa al più presto.

Rafforzata dalla nuova risoluzione, Menta andò avanti a suonare fino a sera.

Come aveva ormai preso a fare dall'arrivo della signorina, anche la mattina seguente Anna entrò silenziosa nella camera con una brocca di ceramica piena di acqua fumante. Richiuse piano la porta perché solitamente la signorina riposava, si accinse a sistemare l'acqua sul tavolino da toilette e a riattizzare il fuoco del camino in quella mattina fredda. Trovò invece Menta già in piedi e vestita, che trafficava seduta davanti allo specchio di Murano del tavolino.

«Sei arrivata. Molto bene» disse Menta, terminando di spazzolarsi i capelli. «Vorresti terminare di allacciarmi l'abito?»

«Vi siete alzata presto questa mattina.»

«Sì. Ho preso una decisione.»

Anna faticò a reprimere un sorriso divertito al tono energico con cui le venne fatto quell'annuncio. Sotto la sovranità assoluta del Conte, la signorina non era nella posizione in cui poteva scegliere granché. «Posso sapere di che si tratta?»

«Ho deciso che oggi ho molte cose da fare.»

Domandandosi quali fossero tali cose, Anna si mise alle spalle della signorina per aiutarla a pettinarsi. Mentre si affaccendava con forcine e nastri, Menta tamburellava le dita sul ripiano, prendeva un ninnolo e lo riponeva al suo posto, rimuoveva con un dito un granello di polvere sulla superficie dello specchio, tornava a picchiettare le dita sul tavolino. All'ennesimo movimento, Anna dovette pregarla di stare ferma, altrimenti non sarebbe mai riuscita a concludere il suo lavoro.

«Scusami. Ti prego, fai presto.»

La signorina sembrava aver vinto la guerra contro la paura e la tristezza. La forza innata del suo spirito, che l'aveva resa vincitrice, ora si irraggiava facendo risplendere il suo viso e brillare gli occhi di smeraldo.

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