Capitolo 4 - LA TEMPESTA

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Poco dopo la carrozza dei Delle Vigne lasciò Casa Toblini. Il cielo era nero, grosse gocce di pioggia avevano cominciato a cadere e a impastarsi con la polvere della mulattiera, d'inverno sempre poco praticabile.

Il conducente spronava i cavalli a correre in fretta a casa. Casa però era fuori dal paesino, a parecchia distanza, e la notte sempre più minacciosa, il vento più gelido, i tuoni forti e spaventosi. La pioggia cadeva ormai insistente.

Gli zoccoli dei cavalli tamburellavano sulla strada, le ruote della carrozza cigolavano sul selciato fangoso. La lanternina sul lato della carrozza rabbrividiva instabile, la sua debole luce a poco serviva per squarciare le ombre della notte.

Il buio fitto oltre il finestrino impediva di distinguere forma alcuna, specchio dello stato in cui era avvolta Menta tra dubbi e riflessioni. Aveva appena salvato la sua migliore amica da un pessimo matrimonio e probabilmente dalla consunzione. Perché allora non si sentiva contenta? Aveva soltanto rinunciato all'allevamento. Era stato il suo sogno per anni, ma in fondo era meglio così, edificarlo davvero sarebbe stato una follia, uno scandalo, un'onta per il buon nome del nonno. Vero?

Menta cambiò posizione sul sedile e chiuse gli occhi. Inutile rimuginare. La scelta era stata semplice.

Rinunciare all'allevamento aveva restituito la salute a Nenè? Sì. Punto.

Sbadigliò, sfinita dai pensieri. Si era fatto molto tardi. Forse avrebbe dovuto accettare l'invito di Nenè a passare la notte dai Toblini.

Un lampo illuminò la strada e i boschi, seguito a breve dall'ennesimo terribile tuono. Incuranti della paura, le palpebre stanche si facevano pesanti. Prima di assopirsi Menta intravide il paesaggio illuminato dalla luce spettrale di un altro lampo.

Nelle notti di tempesta il lago era un mostro attraente e selvaggio, nero e furioso, che Menta ugualmente amava. Nenè non poteva vivere senza Paolo. Ebbene, Menta non poteva vivere senza il suo lago, il suo canto, la sua bellezza e magnificenza. Il mondo sarebbe stato incompleto senza le ripide pendici dei monti che si tuffano nell'acqua di malachite accompagnate da schiere di torrentelli e ulivi nodosi, i cespugli aridi e i fiori che spuntano lungo la costa, sulla stradicciola che porta al vecchio faro.

Nessuno al paese capiva l'intensità dell'attrazione che provava Menta per quei luoghi e se si aggiungevano il carattere libero, tutt'altro che domato dalla fiera educazione impartita dall'illustre illuminato Bartolomeo, e la testarda passione per i cavalli, diventava chiaro come la giovane Delle Vigne fosse apprezzata dai propri vicini: un fiore profumato ma spinoso, bello e sconosciuto, impossibile da raccogliere, inadatto a qualunque giardino.

Un tuono squarciò la notte. Menta rabbrividì nel sonno e si strinse tra i cuscini. L'acqua scrosciava fitta e pesante, inzuppava i cavalli e i lacchè, che pregavano di arrivare presto a casa, al caldo del fuoco e a un colmo bicchiere di birra.

La mulattiera serpeggiava tra le ripide pendici calcaree del monte a destra e la nuda parete rocciosa che precipitava nel lago a sinistra. Era sterrata, insidiosa e quasi impraticabile, larga a malapena per il passaggio di una sola carrozza, ma era l'unico sentiero che univa i paesi sul lato orientale del lago, da Sirmione a Riva, e che portava a Casa Delle Vigne.

Un cupo boato attanagliò il cuore di uomini e cavalli. Nitriti disperati, le grida dei due lacchè, un rombo pauroso e un sussulto della carrozza. Qualcosa urtò ripetutamente il tetto e il fianco destro della vettura, poi un colpo più intenso, un nitrito spaventato, la carrozza si rovesciò.

Menta gridò. Finì contro lo sportello, poggiò malamente una mano.

Nient'altro che pioggia battente si udiva da fuori. Nell'abitacolo capovolto e chiuso, Menta tratteneva il fiato e tremava per il dolore al polso. Finché, dopo lunghi eppure brevi istanti, uno scalpiccio affrettato sul fango e il rotolare indistinto di pietre. Il richiamo di uno dei lacchè.

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