Capitolo 24 - L'ULTIMO GIORNO

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 Amedeo tastò la zampa dello snello cavallo da corsa, assicurandosi che non ci fossero lesioni né gonfiori. Diede un'affettuosa carezza all'animale, che scosse leggero la criniera di seta. Gli anelli metallici della cavezza tintinnarono nel quieto silenzio della stalla grande. La pioggia tamburellava leggera.

Lo stalliere uscì dal recinto, gli occorrevano le spazzole nel deposito in fondo, e il rastrello alla parete, e... s'interruppe nello scorgere una sagoma controluce sulla soglia del portone. Si avvicinò pronto a scacciare l'intruso. La sua irritazione si trasformò in stupore nel riconoscere Menta, l'abito cosparso di pioggia, gli occhi grandi e lucidi.

«Signorina! Siete venuta fin qui sola e senza ombrello?»

Menta sembrò non vederlo, sollevò le gonne e parve accorgersi solo allora delle gocce scure sulla stoffa. Rispose con voce bassa e incolore che non aveva preso l'ombrello perché non sapeva che stava piovendo.

«Vi sentite bene?» chiese Amedeo perplesso. La signorina non era in sé, e se c'era una cosa che sopportava ancora meno delle donne capricciose, erano quelle in lacrime. Perché era in quello stato? Chi aveva osato farla soffrire?

«Sì» rispose Menta, con un tono che non convinse nemmeno se stessa.

«Credevo doveste partire oggi.»

«Tra poco. Un'ora, forse due o tre. Posso aiutarti?»

Amedeo non ebbe il cuore di rifiutare. Le porse spazzola, brusca e striglia e le accennò un cavallo. Senza una parola Menta andò al recinto, intenta a distrarsi controllando lo stato degli strumenti che aveva in mano. Poi fece caso al cavallo. Era l'alto purosangue grigio, l'ultimo acquisto del Conte. Di tutti quelli che potevano capitarle... era dunque costretta a pensare a lui anche quando cercava di distrarsi?

Il Conte si era barricato nella torre e si rifiutava di vedere chiunque, perfino Diego e specialmente Menta, dal giorno precedente. La ragazza aveva impiegato l'intera mattinata per trovare il coraggio di uscire dalla sua stanza e cercare il Conte per porgergli di nuovo le sue scuse, ma egli aveva alzato una muraglia tanto alta davanti a sé che non riusciva a raggiungerlo: i servi le dicevano che riposava, era occupato, soffriva alla gamba, aveva da scrivere. Nient'altro che scuse. La realtà era semplice: non voleva vederla.

Amedeo la teneva d'occhio crucciato: quel giorno la ragazza gli ricordava Sua Signoria quando si dedicava assiduamente ai cavalli per torturarsi in solitudine con qualcosa che nessuno doveva sapere.

La brusca rimuoveva i peli del manto lucido del purosangue, il respiro dell'animale faceva espandere la cassa toracica sotto le sue mani, ma il lavoro non bastava a distrarre Menta dal fiume di pensieri. A causa sua il Conte era divenuto ancora più chiuso e isolato, non parlava più neppure con il suo migliore amico Diego. E non le restava che una manciata di ore da trascorrere lì, se non raggiungeva in fretta il Conte non poteva chiedergli perdono.

Ignorava il significato di quella maledetta rosa di cristallo, non riusciva a spiegarsi la rabbia dell'uomo, ma qualcosa l'aveva capito e con estrema chiarezza. Il rapporto tra loro si era lacerato, e il Conte non aveva alcuna intenzione di aiutarla a ricucirlo.

Passò leggera la spazzola sul petto del cavallo, tanto alto da superarle il capo già con le sole spalle.

Non avrebbe avuto l'occasione per domandargli il permesso di tornare.

Lasciò cadere le braccia e posò la testa sul petto del purosangue, che rimase immobile a fissarla sbuffando dall'alto.

Amedeo voltandosi la scorse così, gli occhi chiusi, il petto afflitto, sorretta dal cavallo di Sua Signoria, e gli si spezzò il cuore. Doveva chiedere qualcosa? Confortarla?

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