Capitolo 17 - VENDETTA E RIPOSO

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Aveva raggiunto la cima del maestoso scalone ovale, aveva attraversato l'impenetrabile galleria guardata da colonne affusolate, animali mitologici dai lunghi artigli di marmo, dee di stucco e oro dagli occhi vuoti e intriganti. Ora aspettava davanti a un'alta porta di olmo duro e compatto. Sugli stipiti correvano intrichi di rose spinose e foglie di acanto scolpite con finezza impareggiabile tanto da sembrare percorse da vera linfa. I battenti scuri terminavano in un arco acuto, che si aprì lentamente. Menta trattenne il respiro, odiandosi per la paura.

Ugo spuntò e le regalò un sorriso rassicurante. «Entrate pure. Non avete nulla da temere.»

Menta pregò che avesse ragione. Raccolse le forze e le gonne e varcò la soglia. Ugo richiuse la porta con un tonfo che la fece sobbalzare. Ignorando il cuore che batteva troppo forte in gola, Menta si sforzava di abituarsi alla penombra.

Scarsa luce proveniva da un'immensa vetrata gotica, filtrata da spesse tende di velluto argentato, e illuminava i contorni di un caminetto color crema in cui bruciava un fuocherello invitante. Sopra la mensola del camino uno scuro orologio olandese tempestato di riccioli e intagli invadeva con un alienante ticchettio la stanza altrimenti silenziosa. Accanto al caminetto un pregiato scrittoio sovraccarico di libri e cosparso di allegri decori simili a conchiglie laccate in argento. Era affiancato da un enorme specchio incorniciato in un intrico di volute di legno e candele bianche, rigorosamente spente.

L'immagine riflessa nello specchio era quella di un letto a baldacchino dalle slanciate colonne a spirale e le cortine di raso d'argento.

«Benvenuta nella mia umile dimora.»

Pur sapendo di doverlo incontrare, Menta rabbrividì alla voce bassa e canzonatoria. Intravide l'ombra del Conte sotto il baldacchino, seduto con le gambe distese sotto le coltri.

«Ugo ha riferito che volevate farmi una visita.»

Menta aprì la bocca per precisare che era stato tutt'altro che suo desiderio recarsi lì, poi si trattenne. Si era ripromessa di comportarsi bene con quel pover'uomo, cortese e comprensiva, ben educata, niente di più. Si limitò perciò a un neutrale:

«Vi sentite meglio?»

«Già da ore, ma per oggi ritengo sia meglio soddisfare le richieste del mio medico e del mio inflessibile maggiordomo. Prego, accomodatevi.»

Il braccio del Conte le indicava una confortevole massiccia poltrona di mogano e seta a lato del letto. Menta andò a sedervisi celando la paura che le irrigidiva il passo, posò le mani sul grembo e mantenne la schiena fiera e diritta, sfiorava appena lo schienale imbottito.

Dalla sua posizione poteva vedere il Conte e osservarne i lineamenti senza che l'uomo cercasse di farsi inghiottire dall'ombra, ma ancora una volta la luce, sia che provenisse debole dalla vetrata sia che fosse prodotta dal caminetto, era per lo più indirizzata al bel volto di Menta.

L'orologio batteva il passare del tempo senza che venisse pronunciata una parola. Toccava a lei parlare, ma lo sguardo del Conte, tanto scrutatore quanto indecifrabile, le annodava la lingua. Si stava mostrando impaurita, debole e per giunta maleducata. Doveva fare qualcosa.

«Avete comprato da poco il cavallo che montavate stamattina, vero?» Osservazione inutile e scontata, ma aveva rotto il silenzio insopportabile.

«Sì» unica risposta.

«Sembravate molto in sintonia, come se vi conosceste da anni.»

Il Conte annuì gentile, ma non parlò.

«Sono certa che avete fatto un ottimo acquisto, è uno splendido animale. Il più bello che abbia mai visto. Vederlo galoppare è come ammirare un quadro, però in movimento. Un cavallo davvero straordinario.»

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