Capitolo 29 - LA STORIA DELLA ROSA

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Diego si passò una mano tra i capelli ancora schiariti dal sole, imbarazzato. «Ah, temo di aver combinato un pasticcio. Ugo mi ha detto di avervi raccontato qualcosa sul suo padrone, e io credevo... Perdonatemi, signorina Delle Vigne, fate come se non avessi detto nulla.»

Si diresse verso le porte a vetri del salone. Menta lo fissò sbalordita. Non poteva lasciarlo andare! Doveva ottenere una spiegazione o avrebbe perso la testa fra le mille congetture che già le ronzavano in mente. Al diavolo l'indifferenza e la buona creanza, l'unica soluzione che trovò fu pregarlo. «Vi scongiuro, padre, ditemelo voi.»

Diego si fermò con la mano sulla maniglia, voltandosi verso la ragazza ancora accanto alla balaustra e scrutandola con una serietà di cui molte persone lo avrebbero ritenuto erroneamente incapace.

«Volete davvero?»

Menta tentennò, sentiva sempre più freddo. Il suo proposito di ignorare il Conte di Villa delle Rose si sarebbe sgretolata. Scosse il capo, una luce risoluta brillava nei profondi iridi di smeraldo. «Sì.»

Diego tornò sui suoi passi, poggiò le mani sulla balaustra di pietra, ammirò il lago placido oltre il giardino e raccontò:

«Il figlio del duca che mi avete appena graziosamente presentato era un suo amico d'infanzia. La loro amicizia era nata tempo prima della nostra e pareva essere ben più salda. Avevano gli stessi insegnanti, le stesse conoscenze, gli stessi divertimenti. Per quanto ne so, non ebbero mai alcuna discussione, e lo si doveva anche al fatto che Michele era perfetto: intelligente, atletico, coraggioso e con una volontà di ferro in grado di schiacciare gli altri, perfino il suo amico, il quale si ostinava ad amarlo forse senza mai accorgersi di esserne succube.»

Menta ascoltava, rievocando i dettagli fornitele da Ugo: il ragazzo che per anni Sua Signoria aveva chiamato "migliore amico" dunque era stato Michele Corbale.

Padre Diego parlava, ancora incapace di sorridere. «Inevitabilmente si ritrovarono a far la corte alla stessa ragazza. Fu una lotta impari, Michele non ebbe alcuna difficoltà: pur essendo entrambi coscienti della rivalità, il duca non ricevette mai opposizione da parte dell'amico, che credeva più all'amicizia che all'amore. Vi basti sapere che quando la ragazza era invitata a Villa delle Rose, non mancò occasione che anche Michele venisse invitato.»

Corte? Menta incrociò le braccia, sopprimendo un brivido. Non avrebbe mai immaginato che il Conte, così cinico e sprezzante nei riguardi del matrimonio, potesse essersi innamorato, e fosse stato così docile o ingenuo da permettere a un rivale di tenere compagnia a lui e alla loro preda.

«La ragazza si chiamava Laura Cavalieri, una baronessa. La ragazza più corteggiata del circondario, ma i suoi due amici sembravano gli unici in grado di poter esaudire più degli altri le aspettative del padre. Sto correndo troppo.» Diego voltò le spalle al giardino senza accennare a controllare l'effetto delle sue parole su Menta. «I tre erano amici già da prima che i due ragazzi si scoprissero innamorati, trascorsero parecchi anni senza mai parlare d'amore, soltanto divertendosi. Michele era un eccellente cavallerizzo, il migliore che fosse mai esistito, e Laura adorava ammirare le sue prodezze: non passava giorno senza che lei mancasse di pregarlo di saltare un muro alto più di due metri, l'ostacolo più impossibile, che nessuno dei loro coetanei né i più adulti erano in grado di superare. Laura e il Conte stavano seduti sul prato della villa, guardavano e applaudivano.»

«Un muro? A Villa delle Rose?» chiese Menta con un filo di voce. Quel muro che non era stato in grado di saltare.

«Uno dei primi conti aveva fatto costruire un percorso a ostacoli nel parco, si trova ancora là. Temo che quel muro sia diventato una maledizione, il simbolo della sua incapacità come cavaliere, come marito, come uomo e soprattutto della sua incapacità di dimenticare.»

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