Capitolo 9 - IL PATTO

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«La soluzione mi pare evidente e molto semplice» rispose il Conte indifferente e stanco. Menta scrutò speranzosa l'ombra che stava per aiutarla, il più inatteso salvatore che avrebbe mai immaginato, e che la lasciò di sasso. «Sposatevi.»

La ragazza lo fissava inebetita e muta. Era tanto ingenua da non capire? Il Conte spiegò con pazienza. «Con ogni probabilità vostro cugino vuole costringervi a sposarlo: in questo modo entrerà in possesso dell'eredità. Quindi la soluzione, vedete, è semplice.»

«Unirmi per la vita a Elia? Impossibile!» Menta scoppiò in una risata cristallina.

Il Conte, stranamente disturbato, si rintanò ancora di più nell'ombra. «Se vostro cugino non vi aggrada, scegliete un altro. Sono certo che i pretendenti non vi manchino, così giovane e di antica famiglia.»

Menta sussultò. Come riusciva a insultarla pur riempiendola di complimenti?

«Nessuno che io vorrei, signore» dichiarò stringendo la lettera nel tentativo di dominarsi.

«Dunque prendete un uomo a caso» continuò il Conte con quel tono annoiato e irritante. «Chiunque altro: la questione si risolverà comunque a vostro vantaggio. In effetti» e l'ombra si sporse in avanti, due fuochi scintillarono maligni nella penombra, all'altezza dei suoi occhi. «Potrei offrirmi io.»

Non era certo la prima proposta di matrimonio che Menta riceveva, tuttavia fu al di là di ogni dubbio la più offensiva. Chi diavolo si credeva di essere quell'uomo? Tutta la ricchezza del mondo non lo autorizzava a canzonarla per la tragica situazione in cui si trovava, né a disprezzarla come la peggiore e più calcolatrice delle cortigiane. Se soltanto fosse stata un uomo, avrebbe potuto sfidare quel mostro a duello e sparargli nel mezzo del sorriso cinico che era comparso nell'ombra.

«La vostra reputazione al paese è assolutamente ben meritata, Vostra Signoria.» Sottolineò le ultime parole, ma l'uomo ne fu tutt'altro che colpito. Almeno, così sembrava. «Mi duole smentirvi. I soldi non sono di Elia, bensì miei. Non mi sposerò mai.»

«Avanti, signorina!» esclamò il Conte, stanco di quella splendida recitazione. «Smettete di fingere che stiate davvero valutando qualche altra possibilità. Non avete scelta, sposate vostro cugino per quanto sgradevole vi appaia. Cosa credete che sia il matrimonio se non un contratto tra parti interessate a beni più materiali e duraturi dei sentimenti?»

Menta si sentì così umiliata, così furente, che se non ci fosse stata quell'imponente scrivania tra di loro avrebbe provato l'ebrezza di schiaffeggiare qualcuno. Scosse il capo con uno scatto offeso. «Sono una donna indipendente, signor Conte. Troverò un'altra soluzione.»

«Quale?» domandò sardonico.

Menta distolse lo sguardo dalla sagoma nera che aveva di fronte. «Ancora non lo so.»

L'ombra fece una risata sprezzante. Menta serrò la mascella e si chiuse in un silenzio impegnato nella frenetica ricerca di una possibile soluzione al problema.

«Desiderate così tanto quel denaro?» Di nuovo il Conte si era intromesso nei suoi pensieri con un tono che ferì Menta come un'abrasione profonda.

«Signore, necessito di quel denaro» lo corresse, sfiancata dal battibecco e desiderosa di tornare nella sua stanza a riflettere.

«Davvero?» chiese il Conte, di nuovo annoiato.

Non aveva senso spiegare la faccenda a un estraneo tanto indifferente e dall'umore volubile, tuttavia Menta non poteva lasciare che pensasse così male di lei.

«Fino a qualche giorno fa è vero, lo desideravo per me stessa, per esaudire un sogno. Ma ora non posso farne a meno.»

«Per traslocare lontano da vostro cugino?» ironizzò il Conte.

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