Fin da bambino mi era stato insegnato a gestire i sentimenti. "Non piangere. Rialzati e monta di nuovo in sella" questo ripeteva mio padre ad ogni scivolata, anche se mi rompevo un osso, lui diceva "Pensiamo a ciò che faremo quando ti sarai rimesso, ormai è andata così, inutile rimuginare." Non mi era concesso perdere tempo a piangere, dovevo rimettermi in sesto e dare gas più forte di prima.
Non successe questo quella volta. Ancora lo sento nelle orecchie il tonfo della porta che sbatteva alle mie spalle, che suonò come i piatti di un'orchestra al termine di una composizione solenne e colma di pathos. Avevo recuperato in fretta il mio misero bagaglio a mano, fatto delle due o tre cose trovate in giro per la casa, quando avevo deciso di andare a cercarla e me ne ero andato senza più avere intenzione di ascoltare le sue parole, ognuna delle quali aveva lo scopo di allontanarmi, perché, ora ero ceto, lei non mi avesse amato quanto io amavo lei.
Restai qualche minuto ad osservare il blindato che ci separava, valutando l'idea di suonare il campanello e proseguire quella discussione, ma alla fine avevo deciso che non ne sarebbe valsa la pena. Dovevo voltarmi e proseguire, un po' come facevo in pista dopo una caduta, rialzandomi, correndo e rimontando in sella quanto prima. Non ricordo neanche come feci a raggiungere l'aeroporto e tornare a casa, tutto a posteriori apparve confuso e frutto di un brutto sogno che aveva lasciato al risveglio strascichi di malumore sul resto della giornata, che purtroppo non durarono un solo giorno.
Ripresi ad allenarmi continuamente, come se lo sforzo fisico riuscisse, in qualche modo, a distogliere i pensieri da tutto ciò che avrei solo voluto dimenticare. A volte la cosa aveva la sua efficacia, principalmente quando salivo in moto. Per qualche istante mi dimenticavo di lei, dimenticavo quanto mi sentissi inutile e vuoto da quando tutto era definitivamente concluso.
Una volta partito per i test prestagionali credevo che l'impegno e la concentrazione mi avrebbero distolto dal continuo rimuginare e in parte avevo ragione. Ogni volta che salivo in moto e abbassavo la visiera del casco entravo in una dimensione che conoscevo bene, una zona della mia vita che mi permetteva di avere il controllo, di calcolare e se qualcosa andava storto ero perfettamente in grado di reagire e rialzarmi, ma una volta da solo, con i piedi per terra, il vuoto riprendeva prepotentemente possesso di me.
La moto quell'anno era perfetta, una scheggia, agile, scattante, ma anche potente e bizzosa alle volte. Solo nei test avevo collezionato un paio di out-side che non avevano avuto conseguenze a livello fisico, ma mi avevano dimostrato i limiti attraverso i quali non sarei dovuto incappare, anche se in tutta la vita erano state rare le volte in cui me ne ero imposti, quindi ero cosciente che sarei caduto parecchio in quella stagione, bastava non farlo in gara.
Così, dedicandomi esclusivamente alla forma fisica e trascurando il mio discutibile stato emotivo e mentale, dedicai ogni momento del tempo prima dell'inizio del campionato all'allenamento, alla solitudine, evitando di rimuginare, perché odiavo sentirmi una merda come lo ero a sera, quando osservo il soffitto della mia camera da letto, senza voltarmi di lato, dove la vedevo tutte le volte, addormentata con la bocca semiaperta e il mascara sbavato. L'avevo osservata spesso, sorridendo felice della sua noncuranza dell'apparenza.
La maggior parte delle donne che avevo frequentato sembravano bambole perfette, incarnazione divina di perfezione troppo artefatta, lei era bellezza allo stato puro, quotidianità e stabilità, era sicurezza e infine era pazzia. Perché solo una che condividesse quella stessa mia follia fin dalla nascita avrebbe potuto completarmi.
La vedevo cercare di nascondere le cicatrici mentre si osservava allo specchio, ma amavo anche quelle, erano testimonianza di quanto facesse parte della mia dimensione, erano il segno di quanto la vita nel mio sport fosse un continuo affronto al destino e i segni la prova che tu la morte l'avevi beffata.
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the Race to Love
ChickLitDafne è stata sempre una ragazza atipica. Cresciuta da sola con suo padre nella loro officina meccanica, ha sempre amato i motori, gareggiando, da bambina, nelle competizioni minori. appena adolescente però, si ritrova a dover fare i conti con un fa...