Con quel fazzoletto in bocca era difficile parlare. All'inizio non riuscivo neanche a deglutire.
Era come una tortura.
Mi portava a desiderare acqua per rinfrescarmi e per inumidire la mia bocca, la mia gola nel giro di un'ora diventò secca e le mie labbra iniziarono a screpolarsi, era una sensazione orribile.
'Ma che cazzo mi è saltato in mente' pensai 'se non fosse stato per questa cavolata a quest'ora ero messa molto meglio...'
Scossi la testa.
'Ho sicuramente perso la sua fiducia'
Passai le ore a rimproverarmi per la cazzata che avevo escogitato. Se non fosse stato per quella maledettissima corda forse sarei riuscita a scappare. Forse se non fossi inciampata sarei riuscita a rompere la finestra e a scappare da quella stanza. Forse sarei riuscita a correre via, il più lontano possibile, per poi far perdere le mie tracce...Ma siamo realisti: io sono sempre stata goffa e maldestra, e quel giorno finalmente lo ammisi a me stessa.
Mi addormentai quasi tre volte, svegliandomi sempre dopo qualche ora ricoperta di sudore freddo. Ogni volta che chiudevo gli occhi i peggiori incubi, crudi e angoscianti, si facevano avanti nella mia mente.
Non riuscivo ad avere un attimo di pace, quella sedia era scomoda, fredda, e sentivo i miei polsi ogni secondo più segnati.
La mia pelle gridava pietà, la mia gola aveva bisogno di acqua, e il mio cervello chiedeva almeno un paio d'ore di sonno. Passai tutta la notte in dormiveglia, a cavallo tra il sogno e la realtà, senza mai sapere se fossi più di là o di qua e quando finalmente riuscì ad addormentarmi, fui svegliata dalla forte luce del sole che faceva capolino.
Avrei pagato qualsiasi cosa per dormire una notte in un letto comodo; guardai il sole entrare dalla finestra, segno di un nuovo giorno di torture. Pochi minuti dopo aprì la porta Clarke, facendomi saltare in aria.
Ormai avevo paura anche delle più piccole delle ombre che potevo intravedere da dov'ero seduta. Lei aveva la mascella serrata, mi guardò solo un attimo, e continuò a farsi i cazzi suoi.
Girò per la stanza, aprì il comodino con una chiave argentata e tirò fuori una pistola. Dopo di che, chiuse la porta e si mise a sedere appoggiata al muro davanti a me. Io riuscì a stento a deglutire.
Cosa voleva fare?
Iniziò a pulire la pistola, trattandola come se fosse sua figlia.
"Per fortuna non mi hai fatto niente al naso." disse dal nulla "Il colpo è stato così lieve che non mi hai neanche fatto un graffio, solo rotto un capillare. Sono meno incazzata con te, ma hai lo stesso fatto un grande sbaglio."
Io la guardai, con gli occhi lucidi, pieni di disperazione.
"Io ti avrei dovuta tenere così fin dal primo giorno... capisci?" mi spiegò "E invece, non so perché, sono stata stregata da te, e ho fatto quello che potevo per farti stare un minimo bene." Alzò lo sguardo dalla pistola per guardarmi dritto negli occhi. "Invece ne hai approfittato per disubbidire."
Io provai a dire qualcosa, ma ne uscì un mugolio incomprensibile.
Lei alzò un sopracciglio. "Stai cercando di scusarti?"
Io annuí, abbassando lo sguardo.
Lei sbuffò. "Non sprecare fiato." mormorò "Ti ho già perdonata."
Io la guardai, con gli occhi lucidi e increduli.
"Non riuscirei mai a restare arrabbiata con te per più di un giorno... ma in qualche modo devo farti capire che non avrai più una seconda occasione, visto che l'hai usata ieri."

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In The Dark
Fiksyen PeminatLa giovane Lexa Woods, figlia del boss più potente di tutta New York e a capo della banda più ricercata, i Trikru. Clarke Griffin, cecchino esperto ed assassina, membro della banda rivale, che dovrà portare a termine un compito ed il più importante:...