Capitolo 17

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"Lexa, tu mi piaci" "Lexa, tu mi piaci" "Lexa, tu mi piaci" "Lexa, tu mi piaci"

Continuavo a ripetermi quella frase come se fosse un'ossessione. Risentivo dentro la mia testa la voce di Clarke che la diceva, come se volessi rivivere quel momento. Stavo letteralmente impazzendo.

'Ha detto davvero quello che ho sentito?'  pensai.  'No, non può essere'

Ma non era un 'ti amo' perciò non dovevo essere così agitata. Quella frase mi aveva completamente messo in confusione... perché?

Perché mi faceva questo effetto?

Alzai lo sguardo verso di lei, che mi guardava, forse aspettando una mia risposta. I suoi occhi erano lievemente lucidi, e sentivo martellare il suo cuore nel petto da dove ero io; che dovevo dirle?

Quella confessione era la cosa che più avessi desiderato in quegli ultimi giorni, ma poco dopo averla sentita non ne ero più così tanto sicura. Ero sempre divisa in due, una parte era felice, mentre l'altra era in completo disaccordo, una parte voleva fare la cosa giusta, l'altra voleva scappare e lasciarsi andare...E quello era sbagliato.

Non dovevo baciare Clarke, non dovevo darle delle false speranze, a me non piaceva. Avevo scoperto quello che volevo sapere, ma ero triste, i miei sospetti erano veri: lei provava una certa attrazione verso di me. Non sapevo se era solo attrazione sessuale o qualcosa di più.

Ora la risposta che stavo cercando era alla domanda 'cosa provo io?'.

Rimasi a bocca aperta, cercando di guardarla negli occhi, non riuscendoci.  'Io amo Costia.'  pensai.  'Non amo lei.'

E poi non aveva detto che mi amava, perciò non dovevo sentirmi così in dovere di ricambiare, non c'erano sentimenti tra di noi. Cercai di dire qualcosa, ma non ci riuscii; aprì la bocca, prendendo aria e cercando le giuste parole da dire. Come sempre, fallii miseramente.

"I-Io..."  balbettai. Deciso di rimanere in silenzio e lasciai perdere.

Alla fine si accorse del mio imbarazzo, e si allontanò da me.

Presi un profondo respiro per tranquillizzarmi. Clarke tornò al tavolo dove avevo mangiato, prese i piatti e la tazza vuota e li posò sul bancone. Guardai in giro per il locale e, fortunatamente, era ancora vuoto, non era molto frequentato di mattina, anzi, probabilmente eravamo le uniche persone che c'erano e che ci sarebbero entrate.

"Ehi!"  urlò lei, facendo arrivare di corsa il suo piccolo schiavetto.  "Qui abbiamo finito, ma presto ritornerò, e la prossima volta voglio trovare tutto pronto."

Beh, ci aveva messo davvero molto tempo a preparare qualche pasta e un caffè, però non si meritava quella sgridata. Il povero disgraziato annuì, impaurito da Clarke, poi lei si girò verso di me e mi ordinò di scendere dal tavolo.

Ci dirigemmo verso l'uscita e lasciammo l'atmosfera erotica e sensuale di quel locale; la luce naturale mi sembrò quasi strana da come mi ero abituata a quella del bar. Il sole spendeva in alto nel cielo, illuminando il mio volto e quello della donna in mia compagnia, aveva un'espressione neutra, seria, ma sembrava lo stesso molto incazzata.

Stava combattendo contro qualcosa?

Iniziai ad avere paura, non si poteva mai sapere. Quando partiva la sua metà cattiva nascosta dentro di lei nessuno poteva fermarla. Chissà a cosa stava pensando.

Stava pensando anche lei a quello che stavo pensando io?

Mi avrebbe fatto davvero comodo il super potere di leggere nella mente, lei non trasudava nessuna emozione. Non ero certa di niente con quella donna.

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